Dell’acqua e dell’amore

Brunella Caputo

Dell’acqua e dell’amore

Premiato con Targa nella XXXVII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni" – anno 2021

Descrizione

Racconti brevi per narrare l’amore: per un uomo, per una donna, per la famiglia, per un luogo, per un amico; e l’acqua in tutte le sue forme: acqua di mare, di fiume, di pioggia, di lacrime.
Racconti per narrare, con la fantasia, stati d’animo in viaggio nelle molteplici manifestazioni d’amore, chiaro e felice o nero e infelice. L’acqua è il mezzo, il respiro, la speranza, la meta.

L'Autrice

Dell’acqua e dell’amore

Brunella Caputo, appassionata di libri da sempre, è nata a Salerno e vive in Italia e In Brasile.
È regista teatrale , attrice, scrittrice. Scrive articoli di teatro e racconti per quotidiani salernitani. È ideatrice del progetto letterario/fotografico “Scritti di Luce – Autori in immagini e parole. È ideatrice del progetto “Letture d’autore – la musicalità della lingua italiana” con il quale, promuove e insegna, attraverso l’utilizzo di testi teatrali e di narrativa, la lingua italiana in diverse città dello stato di San Paolo in Brasile. È ideatrice del progetto “ Teatro Passione” con il quale ha insegnato attività teatrali, in lingua portoghese, presso la città di Guaratinguetà nello stato di San Paolo in Brasile.
Ha pubblicato racconti in diverse antologie. Presta la voce per la registrazione di audiolibri. Ha curato e poi portato in scena l’antologia Attesa – Frammenti di pensiero, ispirata a Aspettando Godot di Samuel Beckett e edita da Homo Scrivens. È impegnata, con le letture ad alta voce, nel festival letterario Salerno Letteratura. È giurato del premio Salerno libro d’Europa di Salerno Letteratura.

Leggi un racconto

Tamandaré
È un giorno di pioggia. Si parte in un giorno di pioggia? Chissà. Forse.
Partire è sempre una fuga, spesso necessaria. Gli eventi negativi della vita ti possono travolgere, invadere e prendere il posto dei pensieri. È necessario partire, allora. La partenza ri- esce a sciogliere il groviglio di idee strane nella testa, sempre. È così anche adesso.
Parto. Vado in un posto oltre il Mediterraneo, oltre l’ocea- no, al di là dell’equatore. Quel luogo lontano mi attira, entra nei miei pensieri la notte. Non nei sogni, nei pensieri. Dormo poco, la mia notte è fatta poco per i sogni e molto per i pensieri.
Parto, forse per ritrovare il sonno in terre lontane. Penso che il sole caldo del giorno mi aiuti ad avere sonni tranquilli la notte.
Forse.
Idee, pensieri, ipotesi, tentativi. Nulla di certo. Nulla mai. Lui nella testa, solo lui. Lo amo. Non ho mai amato nessuno così. Non ho mai amato prima. L’amore, quello vero, co- stringe alla fuga quando non puoi renderlo visibile al mondo. Quando non hai più forza per tenere tutto in un pensiero, fuggire è l’unico modo per rivestire di calma le tue angosce. Il tempo e la fuga sono i tuoi unici alleati.
Scappi di notte, perché la notte rende tutto più nascosto. Di notte la luce non invade i pensieri. Il giorno assorbe tutto e non ti lascia spazio. Di notte gli occhi sono più aperti, per farsi strada nel buio. Vado dentro il buio. Esco di notte e lo affronto.

In una notte d’autunno decido di andare, lontano, supe- rando il grande mare, quello profondo, quello che di notte è di colore viola. Una volta lo solcai con una enorme nave, tut- ta luci e colori. Fu un viaggio di quelli che lasciano il segno, da ricordare per sempre. Dentro si ballava e io fuori, ogni notte, a vedere il colore viola del mare spaccato in due dal palazzo galleggiante.
E schiuma bianca a entrare negli occhi, a rompere il viola.
Penso che oltre il grande mare avrò pace, oltre il grande viola notturno troverò luce giusta per i miei pensieri. Forse arriveranno anche i sogni, la notte. Sogni belli, attenti al mio cuore ormai di colore viola. Un cuore deve essere rosso e pul- sare con lo stesso interminabile ritmo. Quando diventa viola il suo ritmo è troppo lento.
Lui nella testa, solo lui. Lo amo. Nel profondo dell’anima io lo amo. Scappo per non morire, per sopravvivere a un insano pensiero, per non cedere al colore nero di un amore impos- sibile.
Volo sul grande mare, verso sud. Arrivo in Brasile. Trovo il sole e il suo calore. Mi fermo in una città piccola, quasi rurale, poco conosciuta, dal nome indio: Guaratinguetá. Di questa città scelgo un quartiere insano, cupo, solitario: Ta- mandaré. Case basse, diseguali. Due grandi alberi di jabu- ticaba si stagliano verso il cielo bianco. Mi colpisce un cane, cammina lento sulla striscia gialla al centro della strada. Pio- ve appena. Comincio a seguire il cane che, dopo una curva, scompare nella nebbia. Questa visione mi colpisce, scelgo questo posto solo per questo. Assurdo. È una domenica, in un posto d’estate, con una strana nebbia. È mattino presto. È Tamandaré.
La cupezza di questo quartiere mi spinge a ricordare. Pro- vo ad abbandonare il colore viola della notte insonne.
Ora devo ricordare.

Non è stato urgente il ricordo, non è venuto fuori subito. Ma ora è qui, pronto per la passeggiata, vestito con il suo abito migliore.
E ricordo.
Ricordo per raccontare al fiume Paraiba, che ascolta sen- za stancarsi del suo movimento. Ricordo adesso che il mio cuore sta scoppiando e che sento il bisogno urgente di dire. Ricordo lui, il mio amore, la sua indifferenza. Ricordo la ver- gogna di stare nascosti senza nessuna ragione, il tradimento senza nessun valido motivo.
Tamandaré inaspettatamente mi tira fuori il ricordo com- pleto, quello che avevo rimosso.
Tamandaré mi aiuta a capire che io devo ricordare per poi raccontare a chi si deve raccontare.
E ricordo, adesso.
Ricordo quella notte, di ritorno dal lavoro. Il buio, la piog- gia, non avevo l’ombrello. Le chiavi cadute, il tempo perso per riprenderle in terra. E le luci accese in camera da letto, viste dalla strada. Che ci faceva in camera da letto prima che io arrivassi? Non lo faceva mai, mi aspettava in soggiorno. E il ricordo improvviso: non dovevo esserci a casa, dovevo restare fuori quella notte. E invece tornai, e lui non sape- va. Dimenticai di chiamarlo. Corsi su, aprii con l’urgenza dell’amore. Non mi aspettava, non mi sentì entrare. Trop- pi rumori in quella camera, con la luce che si vedeva dalla strada. Rumori d’amore. Rumori non solitari. E vidi quello che forse avrei dovuto vedere con gli occhi del cuore già da tempo. Vidi.
Il pensiero fu immediato. Il sacco con le mazze da golf lo lasciava sempre in corridoio. Il gesto seguì il pensiero solo pochi secondi dopo.
E colpii. E li uccisi.

Ci sono uno strano vento, in questa mattina del sud del mondo, e una strana nebbia.
Tamandaré tira fuori il buio dell’anima. Tamandaré mi fa ricordare.
Il Paraiba scorre lento, ascolta i miei pensieri. E sa.

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