Amori regalati

Olimpio Talarico

Amori regalati

Primo premio Narrativa edita XXXIV edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2017

Descrizione

Una telefonata da oltreoceano induce l'ormai anziano Martino a partire per Buenos Aires: Tomaso, l'amico di un tempo, non c'è più, e il suo esecutore testamentario convoca il protagonista con la promessa di sciogliere finalmente i nodi che hanno portato alla fine di un rapporto intenso ed importante. Tomaso, Martino, Marta. Un girotondo di affetti e un caleidoscopio di passioni percorrono le pagine di questo singolare romanzo fatto di amori e destino, tra un flashback e l'altro, dalla Berlino del 1945 alla Calabria fascista all'Argentina di oggi. Pennellate di ricordi e guizzi di passato si intrecciano con una punta di giallo e una sottile ansia per il futuro che promette - o minaccia? - rivelazioni dolorose.

L'autore

Amori regalatiCrotonese di nascita, vive e cresce a Caccuri (KR). Dal 1994 vive a Bergamo dove insegna materie letterarie. Ha pubblicato i romanzi "Il due di bastoni" selezionato tra i 19 finalisti del “Premio Tropea” e finalista del premio Kriterion città di Avellino e "L’assenza che volevo", oltre alla raccolta di racconti "Racconti fra Nord e Sud" Rubbettino editore. Fra gli organizzatori del Premio Letterario Caccuri, è responsabile della sezione Saggistica. Con “Amori regalati” ha vinto la XXIV edizione del Premio letterario Città di Cava de’ Tirreni (2017) e il Premio Carver 2017

La parola alla Giuria

Romanzo avvincente, intrigante, che si fa leggere tutto d’un fiato e fa viaggiare il lettore nel tempo e nello spazio, in un continuo gioco di rimandi, di ritorni al passato e al presente, di corsi e ricorsi.
Una storia di amori e di amicizie, di ricordi e attese, di colpi di scena sorprendenti, di soluzioni inaspettate. Un racconto in cui “le cose importanti della vita ti passano sotto gli occhi e in quel momento tu non usi solo la vista ma tutti i sensi … E i fotogrammi si saldano, si agitano dopo anni di silenzio, nel momento in cui un’altra immagine arriva e, come il via del regista, dà l’inizio al film dei ricordi”.
Vite: che si intrecciano, si perdono, si ritrovano …
Anni: che non si succedono secondo lo scorrere lineare del tempo, ma seguono il flusso della coscienza e dell’inconscio … 1945- 1996- 1928- 1996- 1938- 1943- 1945- 1996- 1970- 1971- 1980- 1996- 1945- 1996 …
Luoghi: Berlino – Buenos Aires – Caccuri soprattutto … reali e interiori …
Un po’ di suspence, un non so che di misterioso e inafferrabile.
Una capacità narrativa e descrittiva insuperabile, straordinaria, in cui nulla è lasciato al caso, ma tutto è calibrato ed ha, come direbbe l’autore stesso, “uno spessore croccante e compatto”.
Lo stile inimitabile, impeccabile, perfetto.
Maria Olmina d'Arienzo

Leggi il primo capitolo

Capitolo 1
 
Berlino, primavera 1945

Lui aveva due, forse tre giorni.
Lei era appoggiata a un albero, la testa riversa all’indietro. Gli occhi verdi fra i capelli scomposti. Al collo aveva legato un foulard che scendeva fino al petto come una collana.
Così Marta e Davide entrarono in me come entrano gli spifferi della tramontana da una finestra malandata, tenaci e sussurrati, avanzi superstiti di un temporale inaspettato.
Fu un ragazzo ungherese, che incontravo nel negozio sotto casa, a dirmi che lungo i binari, ai piedi del grande faggio, una donna era inginocchiata con un bimbo fra le braccia. E a pochi metri un uomo con i vestiti tutti macchiati di sangue. I pantaloni abbassati all’altezza delle ginocchia.
Con la mano fra il naso e il mento lo pregai di indicarmi il punto preciso.
«C’era qualcun altro vicino a loro due?»
Mi girai di scatto, senza aspettare la risposta.
Avevo ventisei anni, gli stessi anni di Tomaso. Lei era più giovane, due anni di meno.
Camminai. Non un cane, un gatto, un uccello nel cielo.
Un rumore di spari mi fece reagire. Pareva un tiro al bersaglio durante un’esercitazione militare, con una frequenza monotona. Era solo un giovane, rosso in viso, in carne. Sparava in aria con la voglia di festeggiare.
Corsi fino al grande faggio e mi trovai dinnanzi la scena che non avrei più dimenticato: accasciata al tronco dell’albero c’era Marta, un qualcosa tra le braccia e la testa abbandonata, come non avesse forza nei muscoli del collo. Respirava, per fortuna, con un movimento del petto regolare, anche se lento e faticoso. Tra un pioppo spelacchiato e sabbia umida e rossa, un uomo era riverso, immobile.
E sangue, sangue dappertutto.
Lo riconobbi. A fatica e con dolore.
«Dai, vieni con me, ti dico cosa devi fare, non c’è tempo da perdere.»
La voce di Tomaso alle spalle. Mi tirava con forza per la giacca, quasi volesse strapparmi da quel posto.
«Lascia stare, non vedi che è morto?»
Io invece gli levai la mano dal mio braccio e lo allontanai con una spinta tanto rabbiosa da farlo cadere.
Fu in quel momento che Marta rialzò il capo e con gli occhi implorò il mio aiuto. Squadrò Tomaso e strinse al petto il fagotto che aveva fra le braccia.
E come in un teatrino di marionette, un burattinaio portò i nostri sguardi sulla faccia dell’uomo ammazzato.
L’immagine mi sconcertò per la sua violenza e perché si sovrappose a un’altra che credevo di aver seppellito in un angolo inaccessibile dell’anima mia.

Booktrailer


Luoghi del romanzo

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Intervista all'autore



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