Avrei voluto scriverti cantando

Olimpio Talarico

Avrei voluto scriverti cantando

Primo premio Narrativa edita 40a edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2024

Descrizione

Novembre 1955. A Caccuri, un paese dell’entroterra cala­brese, Leonardo, quarantasei anni, vive con sua figlia Caro­lina, sua madre Rachele e Luisito. Carolina, ormai cresciuta, chiede al padre la verità su quello che successe alla sua fa­miglia e soprattutto a sua mamma Elda anni prima. Dopo molte esitazioni, Leonardo decide di raccontare tutto. Scorrono come in un film le vicende, in pieno Ventennio, di un attivista comunista e di una famiglia rivale di fer­venti fascisti.
Un omicidio. Una condanna da scontare al carcere di San­to Stefano. Un presunto suicidio. E un amore che nasce fra due giovani delle famiglie nemiche, avviato anch’esso verso un tragico destino.

L'Autore

Avrei voluto scriverti cantando

 Crotonese di nascita, vive e cresce a Caccuri (KR). Dal 1994 vive a Bergamo dove insegna materie letterarie. Ha pubblicato i romanzi "Il due di bastoni" selezionato tra i 19 finalisti del “Premio Tropea” e finalista del premio Kriterion città di Avellino e "L’assenza che volevo", oltre alla raccolta di racconti "Racconti fra Nord e Sud" Rubbettino editore. Fra gli organizzatori del Premio Letterario Caccuri, è responsabile della sezione Saggistica. Con “Amori regalati” ha vinto la XXIV edizione del Premio letterario Città di Cava de’ Tirreni (2017) e il Premio Carver 2017.

Leggi l'incipit

Carolina amava starmi accanto. E aveva una maniera tutta sua di farlo. Tanto bisognosa di contatto, un misto di garbo e sfrontatezza. Procedeva senza guardarsi in giro, a volte in guerra con qualcosa di vago e in paese, dove la strada incominciava a inerpicarsi fra le strette vinelle, attorcigliava il braccio al mio.

Quella sera rincasammo abbracciati, manco fossimo due ragazzini appena fidanzati.

A Caccuri c’erano poco più di dieci gradi: una giornata di autunno appena incominciato, di quelle in cui caldo e freddo parevano fare a cazzotti, con le pietre del selciato a rilasciare le ultime gocce di calore e i rami degli ulivi    pronti a spogliarsi e disciogliersi in olio. Proprio una primavera travestita, affaccendata a ingannare e a vomitare l’astio a lungo pensato. Cosicché era normale che inattesa la luce si incupisse e folate e scrosci d’acqua si riversassero a terra.

Appoggiai la mano sulla testa di mia figlia intanto che fissavo il cielo verso la Sila. Anche lei si fermò un secondo a scrutare la montagna.

«È meglio accelerare, quel grigio laggiù non mi piace», mi disse stringendomi ancora di più.

Fu un tuono uscito dalla Serra Grande a farci allungare il passo, sicché giungemmo quasi senza accorgercene al cancello di casa.

La parola alla Giuria

Un romanzo intenso, forte, sconvolgente, che commuove e scuote nel profondo, in una climax sempre più incalzante, fino a raggiungere, nel finale, il punto di massima tensione. Straordinaria l’ambientazione in uno dei borghi più belli d’Italia, Caccuri, in provincia di Crotone, che l’autore descrive magistralmente dal punto di vista paesaggistico, con una passione che solo un figlio di quella terra calabrese, cui lo unisce un legame affettivo indissolubile, può provare. Le vicende, scandite su più piani temporali, sullo sfondo del ventennio fascista, mettono in luce situazioni reali, eventi tragici, sentimenti altalenanti tra bene e male, mentalità opposte e modi diversi di concepire e interpretare i rapporti umani, personali e sociali. A livello formale, lo stile narrativo e il linguaggio, attenti, curati, ineccepibili sotto tutti i punti di vista, rendono la lettura attraente e fluida. Un racconto che lascia il segno, una storia amara, che disvela le sfaccettature più riposte, anche quelle incomprensibili e inaccettabili, dell’animo umano.

Maria Olmina D’Arienzo

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