Concerto a Vanagloria

Claudio Fiorentini

Concerto a Vanagloria

Premiato con Targa nella XXXVIII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni" – anno 2022

Descrizione

Un romanzo viene rifiutato da un editor in crisi esistenziale che, però, auspica all’autore che la letteratura diventi realtà. Le storie dei due si intrecciano a loro insaputa, e da una parte la figlia dell’editor - una musicista diventata matta a seguito delle sue letture – e i vicini di casa che litigano sempre, dall’altra il grassissimo scrittore che si consola mangiando. Il colore dei vari personaggi, come il manager venditore di sistemi di guerra elettronica, il piazzista venditore di aspirapolveri che parla come una mitragliatrice e la sua assistente che si addormenta in tutte le dimostrazioni di funzionamento dell’artefatto, i due fratelli che, tra informatica e seduzione, sono artefici di trame oscure, i due vicini di casa, una coppia stanca e banale, che scoprono che a una certa età essere contenti è strano mentre da giovani era strano il contrario… personaggi quotidiani che nascondono storie diverse, piccoli eroi che, senza saperlo, partecipano alla realizzazione di un progetto pacifista i cui effetti si vedranno durante il concerto di musica al contrario, per pianoforte rovesciato, in programma all’arena di Vanagloria. Personaggi all’apparenza poco probabili, che risultano essere spietati ritratti di una realtà inclemente, dipinti in punta di pennello grazie a una scrittura agile e ad un umorismo sottile, attraverso un continuo andare avanti e indietro nel tempo. I capitoli, che si susseguono con una cronologia apparentemente arbitraria, si vanno piano piano incastrando come tessere di un mosaico mostrando una logica rigorosa e tutti i personaggi acquistano pari dignità. Un romanzo pieno di dialoghi profondi che si alternano a colpi di scena adrenalinici che prende di petto la realtà dandogli una luce diversa perché, se si è fedeli ai sogni, è sempre possibile vedere la luce. 

Leggi l'incipit

Elmer

Era una giornata fuori stagione, grigia e cupa, di quelle che ti mettono addosso più malinconia che voglia di spaccare tutto. Quando capitavano quelle giornate, a dire il vero ultimamente un po’ troppo spesso, aveva fame e mangiava come un maiale. Per giunta, dopo aver ricevuto quella email, aveva voglia quasi di gridare come un pazzo, di alzarsi dalla sedia, di prendere il suo computer e, accompagnandolo con una canzone d’amore, buttarlo giù dalla finestra per poi vederlo fracassarsi di sotto, magari anche al rallentatore, come nei film, e finalmente sentirsi libero. Non potendolo fare, mangiava.

Grasso lo era di suo, ma con quei chiari di luna si dava un bel da fare. E poi proprio lui, uno dei migliori scrittori viventi, essere menato per il naso così? Inaccettabile. Poteva essere presunzione, ma l’ego ferito non accettava certe condizioni, per cui si era preparato un panino al prosciutto. Occorreva rispondere a quel presuntuoso che gli aveva rifiutato il libro: nell’email doveva esserci tutta la furia, tutta la rabbia, tutta

l’indignazione che provava. Quindi iniziò, non senza prima spalmare un po’ di maionese sulla mollica per poi, sbriciolando sulla tastiera e imbiancando i tasti con le dita infarinate, darsi per vinto: il computer non avrebbe fatto un volo di cinque piani e lui avrebbe risposto all’email del suo amico, che forse tanto amico non era, affidando alle parole la missione di esprimere tutta la sua frustrazione, trasformando il grido

represso in una missiva.

«Caro Ted, il tuo cortesemente velato rifiuto mi spinge a risponderti con la sincerità che nelle tue parole manca. Come sai, io preferisco la chiarezza, e le formalità le lascio da parte, anche perché, dopo tanti anni di collaborazione, mi sembrerebbero una stucchevole manifestazione d’ipocrisia».

Forse a questo punto un’intercalare volgare, una parolaccia ci sarebbe stata bene. Provò.

«E che cazzo!»

Rilesse e cancellò. Ma quali parole grosse, quali email pompose: gli avrebbe spaccato il grugno a quello, lo avrebbe riempito di botte se solo lo avesse avuto a tiro. Vabbè, intanto aveva davanti solo il computer, meglio riprendere.

«Dici nella tua lettera che, dati i piani editoriali, la mia opera potrebbe venir respinta. Ma come, dopo tutto quello che abbiamo fatto insieme, proprio tu mi dici queste cose? Sii sincero, almeno. E poi, diciamocelo chiaramente: i piani editoriali li decidi tu; non ti scudare, come un ipocrita, dietro cose che sai benissimo come funzionano. Gli ultimi titoli da voi pubblicati sono scadenti, possibile che tu non voglia portare avanti la letteratura invece di quella roba lì? Vigliacco».

Questo passaggio lo rilesse due volte prima di andarsi a preparare un altro panino. Gli andava a genio ma qualcosa avrebbe ancora dovuto rivedere, avrebbe dovuto infarcire

(l’email, non il panino), aggredire, rendere lo scritto più sanguigno, qualcosa di equivalente a quel pugno che avrebbe voluto sferrargli sulla sua faccia pasciuta… continuò.

«Nulla da eccepire sugli aspetti imprenditoriali, senza profitti si chiude bottega e tutti a casa, ma la tua missione viene meno. Il mercato non è una vacca da mungere per chi ha nelle mani la»…

Interruppe inviperito la lettura per addentare il panino e per chiedersi cosa mai avesse in mano, espressione metaforica, quel bellimbusto: la…? Cancellò l’ultima parte e riprese.

«Vuoi sapere una cosa? Non passerai alla storia».

E il discorso sull’imprenditoria criminale che sfrutta le emozioni immediate, dove lo mettiamo? Il discorso sui soliti noti, l’allusione alle politiche editoriali schiave di un sistema eccetera? No, no, tutte ovvietà. Quindi andò a prendersi una birra e riprese:

blablabla… opportunità di crescita… blablabla… opere di qualità… blablabla… capolavori letterari…

 

No! Un grande scrittore non può mettersi sul trono delle invettive per sparare a zero su cose che non gli competono. Fosse stato un pugile avrebbe saputo cosa fare, ma lui era Elmer Passacaglia, il più grande, il più quotato, almeno fino a due ore prima, e la parola era il suo uppercut. E poi Ted, in fondo, era anche suo amico. Pace.

Bevve il primo sorso di birra, fresca, rilassante, chissà perché il primo sorso è il migliore. Guardò dalla finestra aperta, sembrava che si stesse preparando il finimondo, con la pioggia è meglio il vino, ancora meglio sarebbe il whisky, ma la birra ormai l’aveva stappata. Bevve e ruttò. Forse era il caso di smettere di ingozzarsi e di pulirsi la bocca, convincersi che accettare il rifiuto e abbassare la cresta senza patemi fosse la

migliore delle reazioni. L’indifferenza, bella cosa. Il pugno se lo sarebbe tenuto da parte per un’altra volta, e poi, diciamocelo pure, grassoccio com’era, rischiava di fare brutte figure.

Scendendo a più miti consigli, pensò che il gioco fosse questo: ora tocca a te, ora tocca a me, e chi vince dirige l’orchestra. E poi, largo ai giovani!

Cancellò tutto e ricominciò daccapo pensando che bisognava pur vivere in pace col mondo.

«Caro Ted, ho molto apprezzato i tuoi commenti, sebbene molto critici, nei confronti della mia ultima opera. Cinque minuti fa avevo voglia di prenderti a pugni, ma ora penso che farò tesoro del tuo diniego e probabilmente lavorerò a una seconda

stesura, oppure la lascerò maturare a dovere in attesa di una seconda opportunità. Conto di ricontattarti a tempo debito per dirti come intendo procedere in merito a questo lavoro. Intanto, se posso permettermi, ti vorrei proporre un altro progetto…»

Questo succedeva cinque anni prima.


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