
Annamaria Piazza
Diario di un irriducibile balordo
Terzo premio ex aequo Narrativa
edita 40a edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni "
anno 2024
Descrizione
Il protagonista del romanzo è Orazio, un uomo la cui vita è
caratterizzata dalla incompiutezza e da una “paralisi dell’agire” che lo hanno
spinto a vivere un’esistenza contemplativa, fatta di piccole cose e circondata
da pochi e autentici affetti.
In questa dimensione Orazio si sente perfettamente a suo agio, pur consapevole
di avere deluso le aspettative di tante persone, aver perso amori importanti e
di essersi relegato, nell’opinione collettiva della società, al ruolo di
balordo.
Incurante del giudizio altrui, vive un’intensa vita interiore che lo spinge ad
una fervida attività riflessiva, mostrando un’irresistibile vena ironica e al
contempo una profonda sensibilità.
Il molto tempo libero che ha lo induce a ragionare su ogni cosa, a sognare,
immaginare, entrare nelle pieghe più nascoste dell’animo umano.
Il romanzo si snoda attraverso il monologo interiore del protagonista che
procede per nuclei tematici, restituendoci una narrazione vivace, tutta giocata
sull’ironia e sulla lucida capacità di dissezione dei sentimenti e dei
comportamenti umani.
L'Autrice
Annamaria Piazza nasce a Canicattini Bagni nel 1966, ha vissuto fin dall'infanzia a Mazara del Vallo e ha studiato all'Univeristà degli Studi di Palermo dove si è laureata in Lettere moderne nel 1990. E' docente di materie letterarie nel liceo della sua città. Il suo primo romanzo, Il giorno giusto (2020), è anch'esso edito da Torri del Vento edizioni.
Leggi l'incipit
Sono
qui che mi guardo allo specchio e ciò che vedo mi lascia perplesso, come
sempre, ogni volta che sono costretto a vedere la mia immagine riflessa da
qualche parte. Vedo un uomo che non è poi tanto male, che non si può definire
una bellezza, certo, ma neanche da buttare. Quello che non mi corrisponde
nell’immagine che vedo è di sicuro il mio nome. La mia non è una faccia che può
rispondere al nome di Orazio.
Vi
chiederete, perché? Quale potrebbe essere una faccia il cui nome è Orazio? Non
lo so, ma non certo la mia. Il mio nome è stato per me spesso motivo di
disagio, come se non corrispondesse alla mia vera natura, come una etichetta
che erroneamente è stata messa su un capo sbagliato, indicandone un prezzo non
congruo. Quel nome è stato sempre la mia dannazione. Come ti chiami? Orazio, mi
chiamo Orazio, ma, vorrei aggiungere, è un nome che non mi sta bene, troppo
largo, o forse troppo stretto, non so, non mi veste per niente.
Adesso
che mi sto guardando con la schiuma da barba su una guancia e la condensa della
doccia appena fatta che mi cola sul collo, non mi vedo affatto Orazio ma
piuttosto potrei essere un Salvo, un Vanni, un Cola, insomma un nome abbreviato
o sincopato che possa dare l’idea o di una individualità unica o
dell’incompiutezza. Ma Orazio no. Orazio è un nome per un uomo tutto d’un
pezzo, che se dice una cosa quella è, non cambierà mai idea, che si guarda allo
specchio e si riconosce sempre come se stesso. Non conosco un Orazio che sia
rimasto single, che ami bere come bevo io, che non abbia un lavoro solido, che
non si sia laureato. Conosco persino un prete che si chiama Orazio, un uomo che
ha fatto una scelta molto netta.
Intanto
cominciamo col dire che non ci sono tanti uomini che si chiamano così. È un
nome molto impegnativo, foneticamente imponente. Non credo che sia un nome che
si scelga volontariamente se non perché c’è un impegno da rispettare. Non si
presta a diminuitivi e non è popolare.
La parola alla Giuria
La
giuria ha valutato, senza distinguo, questo libro come veramente bello. Parla
apparentemente di un “balordo”, che balordo non è anzi si descrive come un
essere sensibile, generoso, ma soprattutto inquieto e creativo. Incapace di
stabilirsi in un solo luogo. L’autore racconta con acuta sensibilità le grandi
metropoli in cui Orazio ha vissuto e le esperienze fatte in quei luoghi. Tokyo,
New York ma anche le più brevi frequentazioni di Londra e Berlino scorrono
nella lettura con dolcezza e rivelano una grande capacità di descrizione dei
luoghi. Sembra quasi di visitarle e viverle assieme ad Orazio, il personaggio
del romanzo di Annamaria Piazza. E viene voglia di andare a visitarle per
verificare le emozioni e i paesaggi, tanto avvincente ne è la descrizione. Quando
finalmente si realizza che l’autore del racconto è una donna si rivela la
percezione traversante del senso e della pacatezza del racconto, e lo stile e
il calore umano che la narrazione esprime. Ma forse è proprio questo aspetto
che rende Orazio, ad occhi disattenti, falsamente balordo. Forse solo una donna
poteva parlare così della vita di un giovane uomo tormentato e imperscrutabile,
facendolo con una tale competenza, anzi direi conoscenza, senza mai tracimare
nella pressappocaggine o, addirittura, nella volgarità, come forse avrebbero
fatto molti autori uomini, anche colti e intelligenti. Ci ha colpito la pacata descrizione
delle donne che Orazio ha incrociato nella sua vita, amandole o soltanto
conoscendole. Bianca, Ines, Claudia e Luana scorrono lievi come in un film
d’autore e lasciano tutte un segno indelebile nel racconto, che poi continua e
va oltre.
La
balordaggine di Orazio è tutta nella frequentazione di bar e bassifondi, ma credo
si tratti più di una curiosità ben raccontata senza alcuna traccia di reale condivisione.
Il protagonista ama cucinare, si estasia di fronte a panorami e sa osservare il
cielo e le nuvole nel loro disegnare scenari immaginari.
Soprattutto
non ama fotografarli, perché non intende catturare immagini ingannevoli che lo
distoglierebbero sia pur per un tempo brevissimo dal godimento di quel momento.
Bello e per questo irripetibile. Da cogliere solo nell’istante in cui si
presenta.
Tutto
affascina e si pensa, leggendo questo libro, a luoghi e storie dell’animo
umano. Non si presenta come un romanzo, ma come il racconto di un attimo di
vita da condividere.
Un
racconto che l’autrice ha scritto d’un fiato, con lo sguardo lieve dello
scrittore attento che coglie i sentimenti più profondi e che interpreta minuti
particolari di un’esistenza che, ad altri, possono sfuggire.
Walter Di Munzio
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