Doppio giallo sotto il cielo azzurro

Renato Salvetti

Doppio giallo sotto il cielo azzurro

Premiato con menzione di merito XXXIV edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2017

Descrizione

Napoli, zona Vomero: un quartiere in apparenza tranquillo, ma che dietro i palazzi eleganti e il benessere nasconde strane trame, passioni insane, giochi d’affari e relazioni pericolose. Una donna, Adele Parodi, viene trovata morta nel suo appartamento in via Case Puntellate. Più o meno alla stessa ora, in via Palizzi, un’altra Adele Parodi viene ritrovata cadavere nella sua auto. A condurre le indagini sul duplice omicidio è Antonio Amabile, commissario che avrebbe preferito fare il musicista più che il poliziotto. A volere ostinatamente collaborare a dipanare l’intricata matassa è sua madre Maria, detective per vocazione.

L'autore

Doppio giallo sotto il cielo azzurroNel 2020 scrive lo spettacolo “Su x giù Gaber” e lo mette in scena il 27 luglio nel cortile della Reggia di Capodimonte nella programmazione del Napoli Teatro Festival
Nel 2019 realizza sceneggiatura, riprese e montaggio video del lungometraggio “Il Cilento in fiamme” per il Festival Segreti d’Autore
Nel 2018 come soggettista, sceneggiatore e regista realizza il film “Una Turandot partenopea” per la sezione Quartieri di Vita del Napoli Teatro Festival
Nel 2017 scrive lo spettacolo “Brucia la terra e tutti giù per terra” (sulla terra dei fuochi) e lo mette in scena il 28 giugno nel cortile del Palazzo Reale in Piazza Plebiscito a Napoli nella programmazione del Napoli Teatro Festival
Il romanzo DOPPIO GIALLO SOTTO UN CIELO AZZURRO ha ricevuto:
Primo classificato Premio Anselmo Pecci;
Secondo classificato III edizione Premio Letterario Città di Siena;
Secondo classificato Premio Giovanni Bovio;
Terzo classificato Premio Zeno (Presidente giuria Diego De Silva);
Terzo classificato al concorso "Nero su Bianco-Premio Letterario Mino De Blasio”;
Menzione Alto Merito ai Golden Books Awards 2018;
Menzione speciale Premio ‘La quercia del Myr’;
Finalista Premio Cava de’ Tirreni.

Leggi il primo capitolo

Lunedì
Quella mattina, probabilmente, tutto si svolse come in uno di quei film gialli che si vedono alla televisione.
Filomena entrò nel palazzo di via Case Puntellate, al limite del quartiere Vomero, percorse velocemente il corridoio a destra e si fermò davanti all’ascensore. Mentre aspettava che la cabina giungesse a pianterreno controllò l’ora, batté insistentemente il piede a terra e guardò per aria sbuffando. Era appena cominciata la settimana ed era già stanca, aveva dolori dappertutto. Artrosi, probabilmente. Avrebbe dovuto fare degli accertamenti, ma non ne aveva la voglia né il tempo. E poi, gli accertamenti costano. E per il lavoro che faceva, sempre a lavare stoviglie e pavimenti a casa della gente, c’era da aspettarselo. Si guardò le mani, erano secche e screpolate. Avrebbe dovuto anche telefonare a sua sorella, non la sentiva da una settimana. Si morse il labbro inferiore, come per punizione.
Giunta al quarto piano infilò la chiave nella toppa: la porta d’ingresso non era chiusa a doppia mandata, la signora Parodi non era andata a lavorare. Probabilmente, in ufficio le avevano mischiato l’influenza, oppure non aveva sentito la sveglia e dormiva ancora.
Chiuse la porta dietro di sé e si diresse verso la stanza da letto, salutando con tono abbastanza alto da annunciare la sua presenza, ma non tanto da disturbare l’eventuale sonno della padrona di casa.
“Buongiorno signorina... ”.
‘Signorina’, così voleva essere chiamata Adele Parodi, nonostante i suoi cinquant’anni: era quello l’appellativo che si addiceva a una donna che non si era mai sposata.
“Signorina... Signorina...”.
Filomena non ebbe risposta. Si fermò sull’uscio e fece un colpetto di tosse. Poi, lentamente, spinse la porta socchiusa e si affacciò nella stanza: era vuota e il letto rifatto. La signorina era uscita e, probabilmente, aveva dimentica- to di chiudere a chiave la porta d’ingresso e di non rifare il letto perché il lunedì toccava alla cameriera. Nel peggiore dei casi, aveva la testa talmente tra le nuvole da non ricordare che quello fosse proprio il primo giorno della settimana. Sì, doveva essere così, pensò la donna.
Dissentendo con la testa tornò nella saletta d’ingresso, si tolse il cappotto e lo poggiò su una panca di legno scuro. Congiunse le mani screpolate come per fare una preghiera, ma solo per riscaldarle con l’alito. Andò in cucina, dritta dritta verso il lavandino. Lì, nessuna caffettiera e nessuna tazzina sporca. ‘Niente caffè stamattina?’, si chiese sbalordita. Si guardò intorno sospettosa e annusò l’aria: no, effettivamente niente caffè quella mattina. Ma anche niente moka: non era né sullo scolapiatti né al suo posto nel mobile. Dov’era finita? Non sapendo cosa rispondersi, preferì non porsi troppe domande.
Così, quella mattina, Filomena decise che si sarebbe fatta un tè. Riempì d’acqua il bricco, lo pose sulla fiamma del fornello e avvicinò le mani al fuoco, come fosse quello di un camino.
Altro che odore di caffè, pensò sconfortata: come al so- lito in casa c’era una pesante puzza di sigarette. Adele Parodi fumava ancora molto e troppo di rado faceva prendere aria alle stanze. Filomena era certa: con il mal tempo che assediava Napoli da più di una settimana, in quegli ambienti l’aria stagnava da quando lei stessa aveva provveduto al ricambio, il giovedì della settimana precedente. Se non fosse stato per i suoi due interventi settimanali, in breve, le pareti bianche di quella casa sarebbero diventate gialle di nicotina, probabilmente.
‘Qua ci vuole la mano di Filomena’, si disse accendendo la radio sul frigorifero e sintonizzandola sulla prima emittente che trasmetteva musica neo-melodica. Versò l’acqua bollente in una tazza e vi lasciò cadere dentro una bustina: due minuti e avrebbe potuto bere il tè caldo. Nel frattempo, indossò il grembiule con la scritta ‘Forza Azzurri’ e si recò nel salotto per aprire le tapparelle e la finestra.
Sotto l’arco della porta si fermò stranita. Nella penombra della stanza notò che sul tavolino basso, posto proprio avanti al divano, vi era il vassoio con due tazze e la moka. ‘Ecco dov’era’, pensò. Ma subito qualcos’altro attirò la sua attenzione, qualcosa che giaceva sul pavimento proprio dietro al tavolino. Spostandosi cautamente si accorse che quella massa scura altro non era che la signorina Parodi. E cosa ci faceva lì per terra? A stento ricacciò in gola un urlo di spavento.
“Signorina... Signorina... Vi sentite bene?”.
Adele Parodi non rispose, quindi non stava per niente bene. Filomena si portò una mano alla bocca e velocemente la raggiunse: era distesa come al mare, in posizione su- pina, con le braccia aperte e le gambe leggermente piegate di lato; ma non aveva affatto il volto abbronzato di chi ha preso il sole, piuttosto quello di cera di chi ha avuto un malessere. Probabilmente, anche più di un malessere.
A quel punto la cameriera spalancò la bocca mettendo a nudo denti piombati e spesse gengive, la orientò verso l’alto, ma, incredibilmente, non riuscì a emettere alcun suono. Sentì un dolore alla bocca dello stomaco e il viso accaldarsi, e per un attimo temette di non riuscire più a respirare. Così, per evitare di sbattere a terra a far compagnia alla signorina, richiuse subito la bocca, si fece coraggio e s’inginocchiò come davanti alla statua di una Madonna riversa sul sagrato di una chiesa.
“Signorina... Signorina...”.
Le strinse le gote nella mano per scuoterla e si accorse che era gelida. Ritrasse la mano e aprì gli occhi oltremisura, ancor più della bocca; ma ciò che la mandò definitivamente in tilt, come un vecchio flipper, fu un solco che, malgrado la penombra, le vide sul collo.
Per la povera Adele Parodi non si poteva fare più niente, se non chiuderla in una cassa e augurarle buon viaggio. Ma, probabilmente, se qualcuno avesse guardato quella scena nascosto dietro una poltrona, avrebbe riconosciuto in Filomena la voglia di non arrendersi; perché incominciò a martoriarsi le mani, ad aprirle e richiuderle come a voler stringere un’idea vagante nell’aria. Fin quando, in perfetto stile noir cinematografico, decise il da farsi: urlò come un’ossessa e corse verso la porta d’ingresso a chiamare aiuto.


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