Il disegnatore di nuvole

Giorgia Simoncelli

Il disegnatore di nuvole

Primo premio  "Simonetta Lamberti" (Narrativa Ragazzi) XXXVII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2021

Descrizione

Un breve messaggio è l'ultima cosa che Ally Mills ha ricevuto da suo padre Grover, il più grande disegnatore di nuvole di tutta l'Inghilterra, sparito dopo essersi recato a Wilstone con la White Wings, il suo fantastico aerostato a vapore con cui sa disegnare le nuvole più incredibili mai viste nei cieli di Londra. Quando Ally riceve la visita del segretario del primo ministro di sua maestà la Regina Vittoria, che le chiede che fine abbiano fatto "le nuvole" e il loro disegnatore, capisce che il padre si trova in serio pericolo. A Wilstone però nessuno ha sue notizie, nemmeno Celeste la proprietaria della locanda del Cervo, cara amica di Grover. Qui abbandonata sul lago, Ally ritrova invece la White Wings, e dentro, ben nascosto, un biglietto: "Tutti hanno diritto ad alzare la testa e a sognare, anche senza di me. Ora e fino a quando sarà necessario il cielo è tuo. Non deludermi". Da qui ha inizio per Ally e i suoi fratelli un'avventura sorprendente e ricca di colpi di scena alla ricerca dell'ultimo disegnatore di nuvole, tra indizi, strani codici, misteriosi amici, fino alla scoperta di una terribile verità: la scomparsa di Grover è solo il primo tassello di un intrigo molto ma molto più grande. In una Londra vittoriana fantastica oppressa dai fumi delle fabbriche e popolata di carrozze a vapore, dirigibili grandi quanto balene, cani meccanici, macchine umane e quanto la mente è stata capace di creare in nome del progresso e dell'industrializzazione, l'avventura di Ally e dei suoi fratelli è un modo per ricordare il valore dell'immaginazione, l'importanza della famiglia, e il potere incorruttibile dei sogni. Età di lettura: da 10 anni.

Gli Autori

Il disegnatore di nuvole

Giorgia Simoncelli è nata e vive in provincia di Roma.
Laureata in storia dell’arte contemporanea all’università La Sapienza, è pubblicista dal 2012.
Nel 2016 è tra i dieci vincitori del concorso letterario Ioscrittore del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol e finalista alla terza edizione del Premio Letterario Nazionale Bukowski.
Nel 2018 è finalista al concorso Odissea con l’opera fantasy “Il viaggio di Lea”.
Come curatrice ha pubblicato con Gangemi Editore, Skira, L’Erma di Bretschneider, Il Cigno Galileo Galilei.
Ha racconti pubblicati con Delos Digital, Edizioni della Sera, Watson e con la rivista Cose da Altri Mondi.


Paolo d’Altan vive e lavora a Milano. Nel 1987, dopo gli studi classici e la Scuola d’arte applicata del Castello Sforzesco di Milano, inizia a lavorare come illustratore freelance per le maggiori agenzie di pubblicità italiane. Successivamente si avvicina al mondo dell’editoria per ragazzi, collaborando con editori stranieri e con le principali case editrici del nostro Paese. La sua esperienza si completa con illustrazioni per diversi magazines.
Tra i riconoscimenti ottenuti: due ori dall’Art directors club italiano per l’illustrazione pubblicitaria (1991 e 1995); premio Annual Illustratori(1995); Unicef (1995); Giufà tante storie (1997); Torino, città di cultura (2003), Premio Cento (2006); selezionato per l’Annual Illustratori italiani, Communication arts annual illustration e 3x3 Children’s Illustration Show N°6. Nel 2011 ottiene il Premio Andersen come miglior illustratore dell'anno.
Ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero ed è stato presidente dell’Associazione illustratori.

La parola alla Giuria

Come il titolo stesso promette, “Il disegnatore di nuvole” è un romanzo sospeso, capace di condurre il lettore – sia il bambino che l’adulto – nella dimensione del fantastico e del meraviglioso, senza mai disgiungerli dalla concretezza della vita e dalle dinamiche della storia. Quest’ultima è centrale non solo come tessuto narrativo ma anche come storia con la S maiuscola, come viaggio nel tempo, per immergersi nella vita brulicante e frenetica della Londra vittoriana che fa da ambientazione alle vicende del protagonista Ally Mills e di suo padre Grover, il grande disegnatore di nuvole. C’è un “disegno” di leggerezza calviniana che accompagna tutto il testo, avvicinandolo a capolavori come “Il giro del mondo in 80 giorni”  e il Piccolo Principe. Della celebre opera di Saint-Exupéry, il romanzo ha la stessa carica iconica, regalando aforismi poetici che rimangono nella mente. È una cattedrale dell’immaginazione che si costruisce pagina dopo pagina.

Concita De Luca

Leggi il primo capitolo

Wilstone • 29 ottobre 1886
Le acque del lago si sono abbassate ancora.
Livello ai minimi storici. Necessaria ricognizione da terra.
Impossibile prelevare in volo.
Quel breve messaggio era l’ultimo che aveva ricevuto, poi la radio di bordo della White Wings si era spenta e ogni volta che Ally aveva tentato un contatto, attivando il microfono della ricetrasmittente nello studio, questa le aveva restituito solo un sibilo sinistro. Se Grover si trovava a Wilstone era impossibile sperare di comunicare, Ally lo sapeva bene, suo padre andava e veniva dal piccolo paese nella contea dell’Hertfordshire da anni, e a quella distanza da casa, senza antenne radio a supportare il segnale, la strumentazione di bordo perdeva la frequenza. Ma un giorno intero senza dare notizie, senza disegnare, non poteva trattarsi solo dell’ennesimo ritardo, no, doveva essere successo qualcosa.
Ally guardò il cielo grigio dalla piccola finestra sul tetto della mansarda di York Road e subito si sentì stringere il cuore da una morsa di fredda nostalgia. Londra poteva essere davvero una città triste senza il tocco di suo padre. Il cielo piatto e uniforme era una tela tetra e vuota se privata degli arabeschi che ogni notte il disegnatore di nuvole sapeva regalargli. Non c’era altro che il grigio: delle case, dei tetti, del fumo proveniente dai comignoli di palazzi e fabbriche e dal grande dirigibile del controllo inquinamento, la balena, come la chiamava Grover, che proprio in quel momento volava lenta sopra la sua testa.    
Tump, tump, tump.     
Tre colpi secchi e decisi. Ally trasalì, non poteva che essere lui a quell’ora del mattino. Si precipitò sulle scale, scese i gradini a salti fino all’ingresso.    
«Grover! Papà! Sei tu?».    
Da fuori, oltre il legno e il vetro smerigliato della porta decorata, si sentì un colpo di tosse grasso e stizzoso subito seguito dalla voce aspra del segretario del primo ministro: «Sono Lord Ormerod Richardson».    
Ally aprì la porta spalancando la bocca e gli occhi neri. «Lord Richardson, buongiorno».    
«Che cosa diamine succede signorina Mills? Dov’è suo padre? Dove sono le nuvole?» sbottò il segretario indicando il cielo con la punta del bastone: la faccia arrossata, gli occhi piccoli e verdi sotto due cespugliose sopracciglia rosse, il panciotto che a fatica conteneva un ventre troppo gonfio. «Ho già ricevuto tre visite indesiderate questa mattina, direttamente a casa, capisce!» esclamò con le guance rotonde che si erano screziate di viola, due prugne fuori stagione. «Ho paura di arrivare a palazzo signorina Mills, il primo ministro, la regina! Che cosa dirò alla regina?» Lord Richardson fece una pausa lunga ed eloquente per sottolineare il suo pessimo umore. Le sopracciglia gli si erano chiuse in un grumo spinoso al centro della fronte, mentre con la mano libera aveva preso ad asciugarsi la fronte bagnata di sudore con un fazzoletto. «Il lavoro che compie suo padre è un impegno di grande responsabilità che richiede serietà e rispetto. Gli abitanti di Londra si aspettano di trovare le nuvole ogni mattina, la regina Vittoria si aspetta le nuvole ogni mattina! Tutti, santo cielo, si aspettano che un nuovo disegno li accompagni durante la giornata! Senza le nuvole… buon Dio, non voglio nemmeno pensare a cosa potrebbe accadere».    
«Lord Richardson…» disse Ally appena l’uomo le diede la possibilità di parlare, «mio padre non è tornato dal viaggio per l’approvvigionamento dell’acqua. Ho provato a contattarlo ma… niente».    
«Come niente? Non può essere sparito nel nulla. Da quanto è via?».    
«Ieri mattina».    
«Ma come diamine è possibile?» Lord Ormerod si grattò il mento rigonfio con il manico del bastone, una piccola corona intagliata in un unico pezzo d’argento, poi tornò ad asciugarsi la fronte.     
«La trasmittente a bordo perde il segnale senza ponti radio. Prima di atterrare ha mandato l’ultima comunicazione, poi nulla».
Lord Richardson imprecò. Grover Mills era la sua più grossa spina nel fianco. Il suo estro creativo era fuori discussione, non c’erano dubbi; un genio, così veniva chiamato anche dalla regina Vittoria, e questo lo aveva reso uno degli uomini più noti e acclamati di Londra. Ma Grover lontano dalle sue nuvole non era niente più che un completo disastro. Mai che fosse vestito adeguatamente, o che fosse in orario quando veniva convocato a palazzo. Non si scomodava a togliere il casco da aviatore nemmeno di fronte alle signore, o sorridere, fare un inchino; e poi quel dannato trabiccolo con cui si ostinava a volare, come si chiamava? White Wings? Un pallone biposto ormai sorpassato, un dinosauro a vapore che poteva precipitare sui tetti dei londinesi ogni volta che era liberato in cielo.    
«Ho capito signorina Mills» sbuffò esasperato. «Se posso aiutare in qualche modo… la cosa va risolta al più presto e con il giusto riserbo».    
«Avrei bisogno di un mezzo per arrivare a Wilstone».    
Ormerod Richardson imprecò di nuovo. Si voltò verso la sua carrozza a vapore con il motore ancora acceso, di quella certo non avrebbe dovuto dar conto a nessuno se non al suo intestino irritabile. «Sa guidare signorina Mills?».
«Notizie di papà?» la faccia sdegnosa di Duncan e il suo ciuffo dritto e biondo le piombarono addosso quando stava cercando di infilarsi il cappotto.
«No, solo qualcuno che si lamentava delle nuvole».
Duncan schiacciò il naso sul vetro della piccola finestra ogivale dell’anticamera che affacciava, coperta da un cespuglio spinoso di rosa canina, sulle scale d’ingresso. «Qualcuno? Quello è...».
Ally gli posò le mani sulle spalle, era ancora più alta di lui ma sapeva che presto anche questo sarebbe cambiato. «Io devo uscire subito».
«Voglio venire con te!» sentenziò Duncan incrociando le braccia. «Sono grande abbastanza, anche papà lo dice sempre».
Ally allora cercò il migliore dei sorrisi che aveva e lo guardò dritto negli occhi, come quando era piccolo e non c’era modo di farlo smettere di piangere se non fissandolo a lungo, sforzandosi perfino di non battere le palpebre, fino a che il suo spirito inquieto non riusciva a rilassarsi e abbandonarsi al sonno. Lui, come Lucius, Olive e la piccola Quinnie, l’ultima arrivata, apparsi al mattino, quando Grover rincasava dopo il lavoro, nascosti in una vecchia valigia, una cesta per le uova, una cassetta di legno marcita; senza un nome, un biglietto. Affidati alla sorte e al cuore di Grover che, tutti dal West all’East End sapevano, non avrebbe mai chiuso la porta davanti a un bambino. Piccoli, ululanti come cani, spaventati più delle volpi al suono dei corni da caccia. Fratelli per volontà del destino.
«Ed è proprio per questo che ho bisogno che tua sia qui. In assenza di papà sarai l’uomo di casa».
Duncan abbozzò un mezzo sorriso. «Certo ma…».
«Nessun ma; quando si sveglia Olive avvisala che oggi dovrete occuparvi di tutto, io sarò qui prima di cena».
Uscì correndo, con Lord Ormerod Richardson che la aspettava dentro lo stretto abitacolo della carrozza e che partì a razzo mentre continuava a sbuffare e ad asciugarsi la fronte con il fazzoletto ormai da strizzare.
«Il mio autista mi aspetta dietro Vincent Square. Le lascerò lì la carrozza e pretendo di ritrovarla in quello stesso posto entro l’ora del tè. Per qualsiasi altra comunicazione, il mio canale di ricezione è il cinque».
Ally annuì mentre il riflesso del cielo grigio e immobile macchiava di tristezza il parabrezza della carrozza a vapore, e la radio sintonizzata sul canale reale rimandava con voce pomposa gli ultimi successi della Royal Navy. Sentiva freddo, nonostante il cappotto imbottito, fino dentro al cuore.
Raccontami la mia di storia, papà.
Ma la saprai a memoria ormai.
La voce di Grover materializzata nella testa le fece venir su una lacrima.
Ti prego, ancora una volta, l’ultima.
E allora lui sorrideva, in quel modo che gli faceva stringere gli occhi tanto quasi da farli sparire, ben sapendo che ce ne sarebbero state altre cento, mille di “ancora una volta”. Poggiava il libro che stava leggendo, recuperava il tabacco sul tavolino accanto alla vecchia poltrona e rimboccava la pipa, poi stirava le braccia e le gambe diventando ancora più alto, e lento, quasi fosse un attore davanti al suo pubblico, cominciava a raccontare: «Era notte e la neve veniva giù fitta e insieme al freddo portava il sonno. Ogni cosa, ogni creatura, ogni pezzo di ferro o di pietra, quel giorno sembrava volesse solo dormire. I lampioni lungo la strada erano tutti spenti, addormentati, i calessi vuoti, le strade deserte, le finestre buie. Persino la balena aveva smesso di volare, appisolata chissà dove in un angolo nascosto del cielo. Perciò avrei dovuto aspettarmelo quando arrivai al deposito per cominciare il lavoro, e invece all’inizio mi arrabbiai. Ero in ritardo, avevo bisogno di tempo per il disegno che mi era stato richiesto, ma la White Wings, anche lei, come il resto della città, dormiva. Ho passato in rassegna l’intero sistema: cannelli, turbine, navigatore di bordo; niente, la mia signora dalle ali bianche proprio non voleva saperne, con il motore ingolfato che non riusciva a partire nemmeno con l’avviamento manuale. Allora ho pensato fosse necessario azzerare il sistema, resettare tutto, e di corsa sono tornato indietro, a casa, a prendere il navigatore di scorta. Entrato di corsa e poi di corsa di nuovo fuori. E tu, eri lì. Apparsa dal nulla, stretta in una coperta sui gradini scintillanti di ghiaccio. Zitta, zitta, con solo due occhi grandi che fissavano il cielo ammirati, il mio cielo. Così ti ho presa e senza pensare sono tornato alla rimessa, alla White Wings che adesso di colpo si era svegliata con le eliche che giravano a vuoto e le gomme che stridevano bloccate dai cunei. Ti ho tenuta sulle ginocchia quella notte, e per tutto il tempo che è servito a disegnare, non hai mai pianto e non hai mai smesso di tenere gli occhi aperti, per questo sei diventata la mia Ally, la mia alleata del cielo».
Una lacrima le scese lungo la guancia, silenziosa fin oltre il bavero rialzato. Lord Ormerod Richardson accostò e scese lasciando le chiavi nel quadro acceso. «All’ora del tè signorina Mills».
Ally annuì scivolando al posto di guida. Accese il navigatore di bordo e programmò la destinazione mentre la Torre dell’Orologio da lontano suonava le sette del mattino.
Dove sei finito papà?
Si chiese imboccando Victoria Street ancora quasi deserta.
Tu non puoi lasciarci soli.

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