Il Santo e il Guerriero

Verio Santoro

Il Santo e il Guerriero

Secondo premio Narrativa edita XXXVIII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2022

Descrizione

Anno 724: Liutprando, re dei longobardi, decide di dare gloria al proprio regno promettendo ai suoi sudditi cristiani che farà trasportare il corpo di sant'Agostino da Cagliari a Pavia (dove oggi si trova, nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro). In Sardegna, infatti, la venerabile reliquia è esposta agli attacchi dei pirati saraceni provenienti dall'Africa. Inoltre, il santo non deve cadere nelle mani dei nemici bizantini, rivali dei longobardi in Italia. Accanto a veri personaggi storici (Liutprando e il duca di Cividale Pemmone), nel romanzo agiscono gli uomini di fiducia del re, incaricati della traslazione: tre soldati longobardi provenienti dal Friuli (Herfemar, Droctulf, Alakis) e un monaco benedettino dell'abbazia di Bobbio (Anastasio). Insieme i quattro affrontano un viaggio avventuroso - attraverso monasteri, città abbandonate, taverne, tempeste di mare - e ricco di personaggi (briganti, ufficiali bizantini, marinai, pellegrini, mercanti): uomini e donne che affrontano con forza il loro destino.

L'Autore

Il Santo e il Guerriero

Verio Santoro, dopo la laurea in Germanistica presso l’università di Roma “La Sapienza” , ha iniziato nel 1987il Dottorato di ricerca in Filologia Germanica presso l’Università di Firenze. Durante gli anni di studio e di specializzazione, ha studiato presso le Università di Francoforte, Lipsia e Berlino. Ha percorso la su carriera accademica dapprima presso l’Università di Firenze come ricercatore (1990), successivamente presso l’Università di Salerno come Professore Associato (1998) e dal 2004 come Professore Ordinario.

Dal 2015 al 2020 è stato Presidente dell’Associazione Italiana di Filologia Germanica.

Il suo romanzo storico è il frutto di un’approfondita ricerca presso molte istituzioni scientifiche specializzate (tra cui l’Istituto Patristico Augustinianum e l’Istituto Storico Italiano sul Medio Evo di Roma).

La parola alla Giuria

Il romanzo “Il Santo e il Guerriero”, ascrivibile al genere del romanzo storico, è l’attraversamento della storia, che è anche storia della vita quotidiana, della dominazione longobardica in Italia a partire dal 724 d. C. e rivela un narratore robusto, il quale si muove su un terreno conosciuto e indagato attraverso documenti e resoconti storici. Vengono così alla luce la convivenza tra romani e longobardi, la vita sociale anche come scontro e pericolo di rivolte, il fiorire di dispute religiose nel momento del trascolorare delle vecchie fedi. L’opera di Verio Santoro, ricca di riferimenti culturali, se da un lato sembra ripercorrere la strada battuta da Manzoni (godibili gli incontri con gli osti delle numerose locande), soffermandosi sulle eterne domande dell’uomo, d’altro canto presenta una varietà di peripezie (non mancano la prigionia e l’incursione dei pirati), che testimoniano la valorizzazione dell’intreccio, il gusto della narratività e citazionale. Alla narrazione retrospettiva e storica si intrecciano, ben fusi e amalgamati, gli elementi sentimentali: valga per tutti l’esempio dello sguardo seduttivo della bella schiava. L’opera si fa apprezzare infine per le memorabili descrizioni di una natura scatenata.

Fabio Dainotti

Leggi l'incipit

L’ordine di recarsi a Pavia aveva raggiunto Herfemar, gastaldo del re, mentre era impegnato a combattere contro un ultimo manipolo di banditi slavi.

Non era la prima volta che gruppi di Slavi penetravano nel Friuli e assaltavano greggi e pastori, saccheggiavano villaggi e masserie e – immersi ancora nell’errore scellerato del paganesimo – devastavano chiese e abbazie. Già in passato, quando Herfemar era ancora un ragazzo, un esercito di slavi aveva annientato la nobiltà friulana. In quella furia di spade era caduto il padre di Herfemar, Theudemar, che anche in quell’occasione si era comportato da valoroso.

Ora, nell’anno 724 dall’Incarnazione di Nostro Signore, a diciotto anni da quello scontro rabbioso, che grande rovina aveva procurato ai longobardi friulani, un esercito forte e numeroso di slavi si era accampato nella località detta Merna, nella valle del Vipacco. Da lì, vinta la resistenza di un presidio di soldati posto a difesa di un vecchio ponte romano sul fiume Isonzo, l’esercito nemico era penetrato nei territori longobardi e, distruggendo e bruciando, era giunto a minacciare la stessa Cividale, capitale del Friuli. Allora Pemmone, duca dei longobardi friulani, aveva radunato una schiera esigua ma scelta di giovani guerrieri desiderosi di vendicare la morte dei loro padri. Piombato con forza sul nemico, lo aveva vinto facendone immensa strage.

Soltanto un modesto gruppo di nemici era riuscito ad aprirsi un varco tra l’esercito longobardo e, fuggito verso Est, aveva raggiunto la valle del Natisone; guadato il fiume stava ora tentando una fuga disperata per raggiungere i territori amici della Carniola.
Herfemar, infatti, alla guida di un drappello di cavalieri, si era messo sulle tracce di quei resti dell’esercito nemico, deciso a insegnare per sempre a quei banditi a temere e a rispettare le armi dei longobardi. Senza tregua aveva incalzato con i suoi uomini quei fuggiaschi e, dopo tre giorni, li aveva finalmente raggiunti tra i sentieri impervi e scoscesi del monte Matajur.

 

Multimedia

Le letture di Sinestesie - Verio Santoro, "Il santo e il guerriero", letture di Diego Verdegiglio



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