Il sole nero di Zeda

Carlo Antonelli

Il sole nero di Zeda

Descrizione

Il sole nero di Zeda è una fiaba per piccoli e grandi. Una storia fantastica nel tempo e al di là del tempo. Una storia di paure e suspense per vincere la paura, una storia per riunire nei valori dell’umanità persone e generazioni. Pensi sia il Tuo libro? Prova il test nell’ultima pagina: Se rispondi senza esitazione sicuramente fa per te; se non trovi la risposta corretta, puoi sempre leggerlo ma probabilmente non lo amerai.

L'autore

Il sole nero di Zeda

Carlo Antonelli nasce a Brescia nel 1965, dove si laurea con lode in medicina. Specialista in anestesia e in psicoterapia, vive con la famiglia in Basilicata. Esordisce nell’editoria nel 2003 con un testo universitario: Ipnosi e Dolore edito da Giuseppe Laterza (Bari). Seguono romanzi di fantascienza come Tempo e Luna, Oltre l’abisso di Moinbù, Vento degli Ics. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche e testi sull’ipnosi, fra cui Teoria e pratica dell’ipnosi clinica edito da VOX, marchio editoriale dell’Istituto Italiano di Studi sul Trauma. È docente e formatore nell’ambito dell’ipnosi e della terapia del dolore.

La parola alla Giuria

Si dice che non esistano libri per bambini e che i libri siano scritti sempre anche per gli adulti. “Il sole nero di Zeda” di Carlo Antonelli ne è la dimostrazione. E’ una fiaba moderna, fantascientifica e al tempo stesso attuale. Dietro la trama di un universo distopico, si cela la speranza di redenzione dell’umanità, la possibilità di una inversione di rotta, verso la vittoria dei valori universali che vanno al di là della logica dello sfruttamento delle risorse e degli egoismi individualistici. Originale e potente l’immagine -  che resta nella mente anche al termine della lettura del libro - di un sole nero che illumina le cose solo nel loro contorno, come se la realtà fosse un unico grande disegno, un fumetto in movimento, una graphic novel in bianco e nero.
Concita De Luca

Leggi il primo capitolo

Quel ragnetto scendeva a scatti lungo la parete azzurra della cameretta e si fermava di tanto in tanto, per assicurarsi che non ci fossero pericoli. Era un po’ che Geo lo guardava senza dire nulla ma adesso non ne poteva proprio più.
– Nonno lo uccidi!
– Cosa? Chi devo uccidere?– Domandò sorpreso il nonno, guardandosi attorno nella direzione del dito teso.
– Quel ragno! Quello sul muro, non lo vedi!– Il nonno si aggiustò meglio gli occhiali girandosi verso la parete, poi allungò lentamente il braccio fin a sfiorare il muro.
Ora il ragnetto sembrava volare, sospeso a poca distanza dalla mano del nonno.
– Perché lo vuoi uccidere? Non ti ha fatto nulla
– È bruttissimo e mi fa schifo, portalo via!
Il nonno aveva aperto la finestra e scosso la mano; ormai a Geo non importava più niente di quel ragno, guardava il nonno e si girava nel lettino impaziente.
– Allora?
– Allora non mettermi fretta, questa è una storia lunga, va preparata per bene, devi sistemarti molto comodo, anch’io mi metto comodo ecco, così…
– Mi dai la mano?– Chiese Geo che aveva appena trovato la sua posizione
– È una cosa giusta, perché è una storia buia e potresti non vedere nulla, sarà la mia mano a guidarti, la mia mano e la mia voce.


IL SOLE DI ZEDA


Oltre la galassia più lontana, oltre i confini dell’universo conosciuto, più lontano dell’immaginazione stessa, si trova un piccolo pianeta, forse grande un poco meno della Terra: il pianeta Zeda.
Questo pianeta ruota da solo attorno al suo sole, un sole particolare perché i raggi anziché rischiarare, oscurano. Sono raggi caldi e neri che lasciano vedere solo i contorni delle cose.
Non si sa se gli abitanti di quel posto gli avessero dato un nome, lo amassero o avessero paura, ma per tutti era il sole nero di Zeda.
Di notte, la debole luce delle stelle lasciava appena intravedere delle forme confuse o meglio delle ombre, difficili da capire per gli abitanti di Zeda che non riuscivano certo a orientarsi in quello strano grigiore e certamente non volevano uscire dalle loro abitazioni.
Di giorno, il sorgere del sole nero era accompagnato da un piacevole vento caldo e dai riflessi dorati che evidenziavano perfettamente i contorni degli oggetti, delle strade, degli alberi, come delle persone. Poi, lentamente, il sole saliva nel cielo e si presentava nel suo splendore, come un disco completamente nero, circondato da un sottile anello di colore oro brillante.

Era uno strano modo di vedere, però molto semplice, non c’erano i colori e non c’erano nemmeno le sfumature di un unico colore, si vedevano solo i contorni, i contorni dorati di tutte le cose.
Gli abitanti di Zeda non erano abituati al superfluo, però amavano le comodità, i cibi buoni e apprezzavano soprattutto la bellezza, le linee precise e morbide, non troppo grosse e non troppo sottili. Forse solo il mare non li attraeva molto: tutte quelle increspature dell’acqua facevano troppi riflessi dorati, riflessi che si muovevano in continuazione, cambiavano posizione, era difficile capirci qualcosa. In effetti, il mare li spaventava parecchio, anche se su Zeda era quasi sempre calmo.  Qualcuno, molto coraggioso, si faceva ogni tanto un bagno, ma i contorni del suo corpo sembravano deformarsi nell’acqua, era davvero uno spettacolo raccapricciante e quando usciva era ancora peggio, come se fosse cosparso di minuscoli puntini e righe dorate, si poteva notare ogni imperfezione della pelle, ogni particolare. Erano proprio poche le persone che avevano il coraggio di entrare nell’acqua del mare.
Zeda era comandato da un principe, il principe del giorno e da una principessa: la principessa della notte. Erano fratello e sorella, discendenti di una nobile famiglia e custodivano un sapere antico, tramandato di generazione in generazione, un sapere che riguardava il loro sole e il loro futuro.
Questa conoscenza in un tempo remoto era patrimonio di tutti gli abitanti di Zeda, ma aveva causato molto dolore e infelicità, così, non si sa bene quando, fu deciso di lasciare il pesante sapere nelle mani di due sole persone, che ne custodissero, ciascuno separatamente, una parte, in cambio di un potere assoluto su tutto il pianeta.
L’oscuro giorno di Zeda cancellava la notte senza alcun preavviso, s’apriva come un sipario, improvvisamente e arrivava puntualissimo sempre alla stessa ora. Gli abitanti si alzavano dal loro letto e si preparavano per il lavoro o la scuola, quelli più piccoli o quelli troppo vecchi indugiavano ancora un poco nei loro letti prima di fare colazione.
Anche la notte giungeva improvvisa. Come una densa barriera grigia, avanzava veloce cancellando istantaneamente il nero giorno e i suoi luminosi contorni che si disperdevano come fine polvere in quella specie di silenziosa foschia. Non c’erano alba o tramonto ma solo il giorno e la notte. Gli esseri del giorno lo sapevano bene, perché la loro vita sarebbe stata davvero molto difficile se fossero stati colti dalla notte fuori da un sicuro riparo e questo valeva ancor più per gli esseri della notte, fossero essi animali o uomini.
In quel tempo lontano, accadde qualcosa di molto triste per Zeda e i suoi abitanti.
Non era mai successo, prima di allora, che un essere della notte incontrasse uno del giorno e fra tutti gli esseri di Zeda proprio le due persone più improbabili, cui questa possibilità era negata dalla loro stessa natura e dalle leggi del pianeta.
S’incontrarono sulla soglia di un nuovo giorno da un lato e dall’altro della invisibile barriera che divideva il giorno dalla notte: la principessa della notte e il principe del giorno. Erano sospesi nell’aria, sollevati dall’energia dei propri cristalli e si muovevano attorno a Zeda, alla stessa velocità di rotazione del pianeta, l’uno di fronte all’altra, percorrendo il cielo di tutto il mondo. Parlavano pacatamente, come fossero fermi, guardandosi negli occhi, ognuno nel proprio elemento, senza farsi sfiorare dal tempo che non gli apparteneva.
Parlarono a lungo e molti furono i testimoni a cui sembrò, per un istante, di vedere sospesi nell’aria il proprio signore o la propria signora, una scia nel cielo troppo veloce per essere fermata con lo sguardo.
Parlarono nel tempo di un intero giorno e forse a qualcuno parve di scorgere una lacrima che scivolava lungo il viso della principessa della notte. Parlarono al di là del tempo, oltre il tempo e solo alla fine, prima di salutarsi lei allungò il braccio, penetrando con la mano l’oscura barriera del giorno di Zeda, il tempo di accarezzare il viso del fratello mentre la sua mano già si trasformava in una leggera polvere dorata, brillante come i riflessi d’oro del loro sole.
Nessuno vide più la principessa della notte e ciò che gli antenati di Zeda volevano evitare ad ogni costo era in qualche modo accaduto. Il cristallo d’acqua e il cristallo di fuoco si erano riuniti, erano tornati nelle mani di un unico essere vivente.
Il Gran Consiglio di Zeda aspettava le parole del suo principe ma nessuno aveva il coraggio di alzare lo sguardo, sapevano che il potere del loro signore si era accresciuto oltre ogni limite. Si chiedevano quanto poteva resistere alla corruzione di un simile potere, ma il perché ciò fosse accaduto, li tormentava anche di più. Tutto questo non si sarebbe realizzato senza la libera volontà della principessa della notte e senza il suo sacrificio.
– Non osate guardarmi? – Disse severamente il principe del giorno – Sapete che ora posso leggere le vostre menti, tuttavia non sapete che ciò non mi piace, non è un mio desiderio. Non sono io che dovete temere ma il nostro sole.
Un brusio si sollevò dall’assemblea mentre i consiglieri si scambiavano sguardi perplessi e increduli. Il principe continuò: – Non conosco un modo meno doloroso per dirvi ciò che devo e non c’è più tempo per prepararvi a questa notizia, perciò vi dirò ciò che dovete sapere e lo dirò subito. L’energia del nostro sole sta finendo. Il nostro amato sole, un sole diverso e per alcuni versi, unico nell’intero universo, un sole che ci ha donato fino ad ora il suo benefico e vitale calore, sta morendo. Il suo grande e saggio cuore è freddo e fra poco si fermerà. Non c’è tempo per fuggire, non c’è più tempo per costruire navi spaziali con cui allontanarci da Zeda, domani sarà tutto finito. Domani, quando alla notte non farà più seguito il giorno –.
Si fermò, lasciando che le emozioni e la disperazione del suo popolo potessero esprimersi liberamente, restò in silenzio, in piedi in mezzo a loro, restò solo, circondato da tutte quelle persone, solo, come era il suo destino, fino a quando poté leggere sui loro volti una più composta rassegnazione. Gli sguardi, incerti, iniziarono ancora a rivolgersi verso il principe, per cercare altro, un’altra risposta o un’altra possibilità.

Una pagina letta da Peppe Basta


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