Il venditore di Ghiaccio

Marcello Loprencipe

Il venditore di Ghiaccio

Premiato con Targa nella XXXVII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni" – anno 2021

Descrizione

Nicola ha due grandi sogni: partecipare ad una gara ufficiale di ciclismo e raggiungere un giorno quel mare che non ha mai visto.
Da bambino cresce in un paese dell’entroterra pugliese, arcaico e contadino che troppo velocemente si converte alla modernità. A fare da contrasto ai suoi sogni, prendono forma nella realtà incubi come quello della grande acciaieria, il “drago sputafuoco”, che inizia ad inghiottire vite.
Alla fine degli anni ’60, ormai ragazzo, è l’ultimo venditore di ghiaccio di quel paese, un mestiere destinato presto a scomparire con l’avvento dell’elettricità e degli elettrodomestici.
Cerca un altro lavoro Nicola e si ritrova lungo quella stessa strada che in tanti percorrono verso un mondo pensato migliore. Non importa se ci sia un treno o una barca a portarti.
Così la vita del venditore di ghiaccio incrocia destini e storie più grandi, per tanti versi a volte drammatici, fino agli anni ’90 del secolo scorso.
Un romanzo che sollecita emozioni e che segna una svolta nella scrittura dell’autore, quella di riuscire a trasformare in prosa la propria capacità poetica.

L'Autore

Il venditore di Ghiaccio

Uomo poliedrico, dalle numerose passioni e attività, Marcello Loprencipe è consulente finanziario, nonostante la sua formazione scolastica sia stata classica e lo abbia visto laurearsi in lettere con indirizzo archeologico. Ha preso parte a numerose campagne di scavo e attività di ricerca dell’Università La Sapienza di Roma. Personaggio di sport, è stato uno dei pionieri del football americano in Italia e primo quarterback della storica franchigia dei Gladiatori Roma. Ha ricoperto i ruoli di atleta, tecnico, dirigente e commentatore televisivo. Nel 2017, anno della sua istituzione, è stato inserito nella Hall of Fame Italy. Attualmente è Presidente del Comitato Regionale FIDAF Lazio. Particolarmente attivo nell’ambito dell’associazionismo, dal 2017 è membro di “Raccontami le parole” e nel 2018 fonda “Amici di Roma e dell’arte”, della quale è Vicepresidente. Per quanto riguarda la scrittura, nel 2009 è stato uno dei vincitori del festival internazionale di poesia a Colmurano. Fondatore nel 2011 della realtà editoriale Campi di Carta, ha pubblicato: Si era alzato il vento (Città del Sole Edizioni – 2010), Il Contanuvole (Campi di Carta – 2012), L’Ombra del carrubo (Campi di Carta – 2017).

Leggi il primo capitolo

A Ciriaco e a tutti i bambini
che hanno visto i loro immensi cieli
ridursi a spicchi di luce, miseri prigionieri di cortili grigi
fra quattro mura alte di palazzi senz’anima.

PROLOGO
Anno del Signore 325… Ne li giorni de lo Primo Concilio che fue a Nicea, voluto dallo Magno Costantino, Nicola sta aseme alli altri
vescovi. Già venerato da moltitudini di homini, grande è la fama sua, ben oltre Myra.
343 d.C Nicola muore ne la sua citade.
Si narra che una volta sepolto ne la chiesa, dallo corpo parea uscisse uno olio odoroso, bono per tenere lontano ogni sorta di artefizio legato a lo male.
De li miracoli sui spargeasi voce e venne tosto chia- mato Santo, in principio de li marinai. Si racconta pure de la vita nova data a de li innocenti.
Anno Domini 1071: caduta Brundisium in mano
a li Normanni, l’ultimo caposaldo bizantino in Italia è Bari che per tre anni Roberto il Guiscardo tiene stretta a lo laccio de lo assedio. In soccorso ai difensori va per mare una ftotta di 20 navi, con homini armati e riforni- menti, ma questa viene diruita quasi per intiero da lo naviglio normanno. La citade si consegna a li assedianti.
MARCELLO LOPRENCIPE

Otto anni dopo, alza di nuovo lo capo la fiera Bari, ma quella stessa testa mozza lo duce normanno.
Antiochia è persa per li Bizantini e magno è lo scempio per mano de li Turchi.
Niuno tenea più speme.

Servivano gesta, uomini, meglio ancora un’impresa per rialzare l’orgoglio e le sorti della città…
Anno Domini 1087… corrono Lupo e Grimoldo, ladri e sacerdoti. Scendono verso il molo, portandosi dietro il tesoro del santo venerato, fatto di ossa chiuse in un sacco.
Tre navi pronte a salpare attendono i due e le poche decine di armati, tutti uomini fidati e marinai, gente di Puglia che fugge dopo il furto, temendo ancor più della vendetta dei Turchi le galee dei cacciatori di reliquie.
Quelle su cui sventola affamato il leone di San Marco.


OTTOCENTOSESSANTASETTE ANNI DOPO

Il dedalo di vicoli addormentati nella notte era ancora avvolto dal buio quando, quasi correndo, una figura silenziosa prese per l’uscita dal paese.
Procedeva a passo veloce in direzione della Contrada Correo.
Mano a mano che le abitazioni si diradavano e la via diventava polverosa, l’uomo avvertiva più forte e vicino il latrare che accompagnava il rumore dei suoi passi, svelti e solitari. Si teneva al centro della strada per evitare i traìni che erano addossati alle pareti delle case, mentre il candore di quelle mura sfumava nell’oscurità, al pari di macchie lattiginose.
Notò con un certo stupore come i cani non lo avessero riconosciuto e pensò che fosse a causa della sua urgenza. Ma lui non aveva alternative quella notte, doveva fare in fretta.
Era uscito precipitosamente di casa e così, indossati i pantaloni ancora nel buio della stanza dove stava dormendo, aveva finito di abbottonarli lungo la strada.
Appena lasciate alle spalle le ultime case, sentì su di sé il peso della solitudine e della notte, una strana sorta di timore che si palesò in un brivido sceso lungo la schiena, ma non a causa dei due grossi cani che gli si erano parati innanzi. Al contrario, una volta che li ebbe raggiunti, questi smisero di abbaiare, scodinzolando poi al suo fianco. Non era neppure il buio della campagna in una notte priva di luna a turbarlo, ma l’idea stessa di incontrare una persona la cui semplice vista lo intimo- riva. Se soltanto fosse successo di giorno, pensò!
Braccia scheletriche sbucavano all’improvviso dalle tenebre circostanti, come per andargli incontro e afferrarlo. Erano i rami degli olivi, ma in quel momento a Vito tornavano alla mente le parole che tante volte i suoi genitori e i nonni gli avevano ripetuto: non si deve mai andare per le campagne nelle notti senza luna.
Avendo l’impressione di essere spiato, arrestò i suoi passi, ma fu solo per un attimo, poi riprese spedito il cammino.
La via stretta e polverosa, delimitata dai muretti a secco, aveva lasciato il posto a una sorta di sentiero che anche una sola persona faceva fatica a percorrere, pieno com’era di rovi i cui frutti a breve sarebbero maturati.
I cani che si erano tenuti fin lì al suo fianco improvvisamente si arrestarono. Vito fermò i suoi passi lanciando un breve fischio, poco più di un sibilo, per incoraggiarli a seguirlo, ma i due animali non ne vollero sapere, mettendosi poi a guaire.
C’erano un’infinità di storie sulla donna che da anni viveva sola, in quella zona sperduta, dentro una modesta costruzione fatta di un’unica stanza. Racconti carichi di superstizioni, come spesso accade quando riguardano figure che nel passato esercitavano una qualche forma di scienza: dottori, sciamani o santoni che fossero. Si trattava per lo più di vecchie storie che parlavano di streghe.
Ripensò alla donna che doveva incontrare, all’oscurità, e si rammaricò per il fatto che i due grossi cani non fossero più con lui.
Non c’era famiglia in paese che non avesse avuto a che fare con quella vecchia, che tuttavia si poteva incontrare di rado nel centro abitato e solo quando qualcuno, avendo bisogno della sua opera, la mandava a chiamare. Il resto del tempo quella lo trascorreva lontano da tutti, nelle campagne attorno al suo tugurio, a raccogliere erbe e bacche per le tisane che portava con sé quando era richiesto il suo aiuto.
A pochi passi dalla piccola costruzione notò una debole luce e l’ombra di una figura minuta e curva che si stagliava sulla parete opposta alla finestra. Non fece in tempo a bussare che la porta si aprì.
“Ti stavo aspettando” furono le parole che uscirono da quella bocca, appena una fessura aperta su un viso completamente segnato dalle rughe, quasi fosse un campo sul quale era appena passato l’aratro. La donna aveva con sé un recipiente ricavato da una piccola zucca e un canestro coperto da una tovaglia, i cui angoli erano annodati al manico.
Erano da poco passate le cinque del mattino e il cielo andava schiarendo, quando presero spediti la strada per il paese. Il solstizio d’estate era ormai prossimo. A qualche passo di distanza, la vecchia procedeva dietro di lui, senza smettere di pronunciare delle parole, bisbigliate quasi cantando, come fossero una litania o una qualche formula magica. Vito afferrò solo qualcosa di quella cantilena: due città… ossa di un uomo contese… forse un santo…
Era meravigliato da come la donna riuscisse a tenere il suo stesso passo, apparentemente senza fatica alcuna. Doveva tornare a casa il più presto possibile e al tempo stesso voleva liberarsi della vicinanza di quell’essere che lo intimoriva.
Maria lo aveva svegliato durante il sonno più profondo e con un filo di voce a causa dei dolori gli aveva detto che il momento era arrivato. Lui le aveva dato immediatamente ascolto, scappando via nel cuore della notte.
L’anziana levatrice era già intervenuta per far venire al mondo le sue tre figlie e in cuor suo l’uomo sperava che fosse finalmente giunto il turno del tanto desiderato maschio.
A un tratto la vecchia si fermò, costringendolo a fare altrettanto e a voltarsi verso di lei.
“Se è una femmina, chiamatela come vi pare. Sennò…” proseguì, puntando l’indice ossuto verso il suo volto, come fosse un’arma: “Nicola lo dovete chiamare”.

Lettura di un Brano


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