La chiameremo Vita

Franco De Luca

La chiameremo Vita

Primo premio Narrativa edita XXXIII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2016

Descrizione

Una storia ricca e appassionante, spietata e tenera, che si snoda, attraverso flashback, tra passato e presente, tra una Napoli metropolitana, in continuo movimento e trasformazione, magica e dolorosa, e un altrove che affonda le proprie radici nell'entroterra campano, a Roccaspina. Antonio Sodano, professore di Lettere e aspirante scrittore, si dibatte tra le pieghe di una relazione complicata con Serena, donna bella ma difficile, e un sentimento non ben definito per la sua migliore amica Laura. Il lento processo di evoluzione personale subirà un'accelerazione nel momento in cui ad Antonio verrà donato dalla zia Ester un manoscritto in cui sono contenuti gli appunti scritti dal nonno, il maresciallo Antonio Attanasio. La lettura delle pagine offrirà a Sodano l'opportunità di cominciare a scrivere un romanzo, portandolo inevitabilmente a fare i conti con i segreti e le burrascose vicende che hanno animato la sua famiglia... A fare da sfondo, il seducente mondo del vino.

L'autore

La chiameremo VitaFranco De Luca è nato nel 1970 a Portici (Napoli). Nel 1994 si è laureato in matematica all’Università di Napoli Federico II, dove attualmente lavora, presso la facoltà di Ingegneria, in qualità di esperto di reti telematiche e sistemi informativi. Attualmente risiede a Napoli. Da tempo studioso e appassionato di enogastronomia, è arrivato a ricoprire la carica di coordinatore didattico regionale dell’Associazione Italiana Sommelier. Scrive per riviste e guide di settore, cura rubriche per pubblicazioni cartacee e online, svolgendo, per conto dell’AIS, un’ampia attività pubblicistica e divulgativa. Agli interessi scientifici affianca la cultura socio-letteraria, rivelandosi ascoltatore attento delle voci che si levano dalle “cose” di Napoli ed esploratore vivace di territori alla ricerca di sapori e colori.

La parola alla Giuria

Romanzo d’amore, romanzo psicologico espressione di un marcato realismo sociale, “La chiameremo vita” è una storia che intreccia vari registri letterari e pone l’accento sulle odissee private che ogni essere umano può vivere, strutturando – pagina dopo pagina – una trama densa di avventure esistenziali. L’incipit onirico carpisce subito l’attenzione del lettore, invitandolo a seguire le complesse vicende del protagonista e appassionandosi al suo duplice viaggio, nel tempo e nella dimensione interiore. Nel romanzo di De Luca, l’attesa del lettore si raddoppia quando alle storia di Antonio si aggiunge quella misteriosa del nonno, racchiusa in un manoscritto. Quest’ultimo rappresenterà lo sprone, per il protagonista, a scrivere un romanzo, trasformando l’opera stessa in un metaromanzo. Il racconto scorre come il vino che fa da sottotraccia alla narrazione, ponendo quasi il frutto della vite a simbolo dell’ebbrezza che dà il linguaggio, restituendoci il profumo delle parole.
Concita De Luca

Leggi il primo capitolo

INCIPIT

Alle otto e mezza del mattino la ressa per entrare a scuola diventa pressante, gli alunni sembrano tanti chicchi di caffè che procedono a passetti, coordinati e quasi statici, sballottati nella parte ampia dell’imbuto mentre, dall’altra parte, a piccoli gruppi si liberano per varcare, finalmente, la soglia del carcere. Antonio avanza anche lui, come gli altri, a balzi cadenzati e cercando di non farsi schiacciare mentre da lontano sente gridare:
«Professo’, Professooo’».
Si chiede chi stia chiamando chi, non vede professori intorno a lui ma solo studenti, mentre con difficoltà cerca di uscire dalla calca. Si guarda intorno, inquieto, come uno che sente che sta per accadere qualcosa e infatti, nella folla, intercetta lo sguardo di Serena. È pallida, ha gli occhi spenti, sembra uno zombie mentre lo fissa con un’espressione senza vita, stranamente immobile in quella confusione. Davanti a questa immagine prova angoscia e cerca con sempre maggiore difficoltà di liberarsi e scappare lontano, mentre la voce, sempre più vicina, continua insistente:
«Professo’, Professooo’».
Antonio si volta e vede che il ragazzo che urla viene nella sua direzione. Lo conosce, è Prisco.
«Prisco, ma a chi stai chiamando?», gli chiede sorpreso.
Prisco si fa largo tra gli studenti e giunge con affanno fino a lui:
«Professo’, sto chiamando a voi… A chi aggi’ ‘a chiammà… Vi devo dire una cosa importante».
Antonio è perplesso: ma allora lui non è uno studente, è un professore, e perché sta lì, in mezzo agli studenti? E che ci fa lì pure Serena? Mentre si pone queste domande risponde al ragazzo:
«Che mi devi dire Prisco?».
«Professo’, io oggi non entro, nel caso… insomma… mi raccomando… vuje nun m’avite vist’…».
«Prisco, ma chi t’aveva vist’…», risponde infastidito e, volgendo l’attenzione altrove per cercare di capire dove si trova e perché, incrocia di nuovo quello sguardo morto che lo fissa e lo atterrisce. Sente la necessità di fuggire via. Vede da un lato uno slargo, una insperata piazzetta dove nessuno entra, poi avvicinandosi comprende il perché: a terra c’è un bambino. È un bel bambino paffuto che non sembra intimorito dalla folla che intorno a lui si muove compatta e a piccolissimi sobbalzi, ma è sorridente e giocoso.
Antonio resta rapito da quell’immagine che gli trasmette pace. Entra in quella specie di zona franca staccandosi dal blocco mentre un’ondata di tenerezza produce lacrime ferme nei suoi occhi, avverte un forte senso di protezione che lo porta ad abbassarsi e a dirgli:
«Devi stare tranquillo piccolo, perché io ci sono, sono qua», mentre il bambino gli sorride fiducioso. Poi si accorge che Serena lo ha seguito, è entrata anche lei nella piazzetta e adesso è alle sue spalle:
«Come stai?», gli chiede.
Lui non si volta, ha paura di affrontare lo sguardo zombie, rimane a guardare il bimbo e a ripetere soltanto a lui:
«Stai tranquillo, io ti proteggo, non devi temere nulla».
Serena allora lo prende energicamente per il braccio cercando la sua attenzione e gli ripete:
«Ehi, come stai? Parla con me, rispondimi, come stai?».
Antonio cerca di liberarsi da quella voce, dal potere che quella donna ha su di lui, concentrandosi su quel bambino ma con la paura di non riuscire a resistere a lungo.

Si svegliò, di soprassalto, che non erano nemmeno le cinque. Rimase nel letto, immobile, per quasi un’ora, a rimuginare su quelle immagini appena evaporate che ancora lo spaventavano.

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