La grammatica della sottrazione

Francesco Di Sibio

La grammatica della sottrazione

Menzione di merito nella XXXVIII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni" – anno 2022

Descrizione

In un’alternanza di capitoli, come su due binari paralleli, su altrettanti livelli narrativi e temporali si segue la storia dei due protagonisti del romanzo: Bianca Specchio e Marciano De Leo.

Bianca Specchio, impigliata in una famiglia iperprotettiva, è una stu­dentessa universitaria. La sua relatrice le affida un lavoro di ricerca dedicato alla figura del poeta Marciano De Leo.

Sulle prime delusa, grazie all’aiuto di un professore in pensione, Ciro Giardiniello, avrà a disposizione un dettagliato manoscritto inedito dedicato alla vita del Poeta.

Bianca scoprirà un’in­sospettabile affinità con il protagonista della sua tesi e maturerà al contempo un nuovo modo di affrontare le incognite quotidiane dell’esistenza. 

L'Autore

La grammatica della sottrazione

Francesco Di Sibio, irpino nato a Pontedera (Pi) nel 1975, vive a Frigento (Av). È responsabile dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia.

È stato uno dei curatori dei tre volumi della collana foto-poetica Pietre vive edita da Delta 3 Edizioni (Abbazia del Goleto, Compsa, 2012; Castello d’Aquino, 2013).

Ha pubblicato presso Fara Editore-Rimini le premiate raccolte di racconti Punto e virgola (2016) e Cosa vuoi che sia un anno (2020). Suoi racconti sono inseriti in varie antologie.

Nel dicembre 2019 ha messo in scena come autore e regista il monologo Spirito e sapienza. Il canonico Marciano De Leo.

La grammatica della sottrazione è il suo primo romanzo.

Leggi l'incipit

Riflessa nello specchio c’era una bambina, si guardava, cercava di indagare cosa non andasse nel suo corpo, perché tante persone la squadrassero con insistenza, di soppiatto, come se avessero visto un fantasma buono, senza dimostrare paura, ma una sottile apparenza d'inadeguatezza. Aveva due occhi, un naso, due orecchie, una bocca. Alla conta degli elementi essenziali disegnati fin dalla più tenera età non mancava nulla, eppure ci doveva essere qualcosa che non andasse, qualcosa che la rendesse dissimile alla folla, alla massa, al resto dell’umanità. Sentiva di appartenere a una stirpe diversa, però non trovava le parole giuste per confessarlo a sé stessa, cosa ancora più grave, non trovava le tracce della differenza. A meno che, quella sua caratteristica così originale, quel tocco di particolarità non fosse solo la distinzione dall’altro, ma l’effettiva divergenza tra sé e il resto dell’umanità fin lì compresa e incontrata. Ci sarebbe arrivata? Avrebbe trovato il tassello mancante, la chiave di congiunzione tra questo e un altro universo di cui era l’unica abitante conosciuta?

Quell’elemento riflettente aveva da sempre incrociato la vita della piccola dai capelli lisci. Possedeva lo stesso lemma del proprio cognome: Specchio. Come avrebbe potuto far finta di dimenticarsi di uno o dell’altro?

 

Il mondo appare diverso, se visto con la lente d’ingrandimento di un libro. Appare un regno senza pietà, se il protagonista della storia letta non trova la medicina adatta alle difficoltà incontrate lungo la trama segnata dalle peripezie inventate o trascritte dall’autore. Esiste un narratore tanto perfido da lasciare il suo protagonista senza quantomeno la prescrizione medica e una farmacia di turno presso la quale recarsi? Almeno subito dopo l’ultima riga dell’ultima pagina dell’ultimo capitolo del libro, visto che quel protagonista è pur sempre diventato una piccola ossessione per un segmento più o meno ampio dell'esistenza del narratore.

Una volta cresciuta abbastanza da poter scegliere da sola cosa leggere, dopo le comuni letture scolastiche, la giovane donna poneva al distante autore simili domande, indagando la quarta di copertina in un angolo appartato della sua libreria preferita, dove gradiva scegliere con calma appagante ogni nuovo acquisto. La risposta tardava ad arrivare, di solito doveva attendere, nonostante tutta la preparazione della scelta, l’ultima riga dell’ultima pagina dell’ultimo capitolo del libro.

 

C’era una fotografia, ritraeva una bambina in braccio alla madre, la quale se ne infischiava del fotografo, aveva occhi solo per quel fagottino tenuto tra le braccia come la cosa più delicata al mondo, quel cristallo in grado di scheggiarsi solo se qualcuno l’avesse guardato con insistenza maggiore rispetto al necessario o al dovuto.

Ricordava benissimo quell’immagine, andava spesso a ritrovarla. Le piaceva sfogliare le ampie pagine di un album consunto dall’uso. Trovava un fastidio tattile solo nel voltare i fogli di velina sottile e opaca posti nel mezzo tra una grossa foto e l’altra. Le appariva un oggetto degno di un museo archeologico, rispetto alla galleria di un cellulare, tanto immediata quanto senza sostanza. Non si sapeva spiegare il motivo, tuttavia era certa che quella carta fotografica arcaica riuscisse a donarle un’emozione intensa, capace di tenerla in sospeso a cavallo tra la sua immagine di allora e quella odierna. La bambina della foto, il fagottino poggiato sugli avambracci materni, il cristallo delicato, ero io.

 

Eppure mi dannavo l’anima nel pensare a una parola tanto bella quanto prosciugata, come una miniera d’oro resa sterile per lo sfruttamento intensivo. Cosa rimane di un posto del genere? Solo il sogno dei tanti cercatori accorsi da varie parti del mondo in cerca di fortuna, immediata e illimitata, un sogno appunto. La parola libertà mi appariva identica al sogno dei minatori, la meta agognata frutto di tanto lavoro, la scommessa di una vita intera, lo spartiacque tra il prima e il dopo. Al di là del sogno, cosa poteva raggiungere il minatore, una volta sfruttata del tutto la vena principale? Non sarebbe rimasta che qualche pagliuzza, l’inganno capace di infrangere il sogno, la cruda realtà col potere disperato di lacerare persino le illusioni. Da molti anni affrontavo la parola libertà senza infingimenti, lasciando a chi l’avesse pronunciata l’onere della prova. Non credevo affatto nel male assoluto, credevo, invece, nel potere assoluto delle parole, quelle stesse mi avrebbero salvata.

 

Ciascuno ha diverse scene del crimine, in quei posti si ricordano vari accadimenti, belli o brutti, della vita, dove si è verificato un incidente, oppure, per rimanere nell’ambito automobilistico, in cui ci si accorge di aver bucato uno pneumatico e si è rimasti appiedati. Continuando l’inventario, potrebbe essere l’esatto metro quadrato nel quale ci si trova al momento del primo bacio. Usando maggiore inventiva, sarebbe bello ripassare spesso per la vetrina del gioielliere davanti al quale, con fantasia messa in pratica, una voce suadente chiede all'altra di volerla sposare. L’elenco potrebbe essere lunghissimo, a seconda delle tante cose da voler rammentare o passate per la mente all’improvviso, senza alcun motivo apparente. Questo è il posto esatto in cui… 

Ero proprio in quell’istante all’interno del metro quadrato, difficile da ripassarci senza una volontà precisa, adatto a candidarsi a pieno titolo per divenire la scena del crimine principe della mia esistenza. Avrebbe segnato la prima di una serie a essa collegata, innescando l’inizio di questa storia.

 


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