La testimone

Francesca Gerla

La testimone

Premiato con Targa alla XXXIII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2016

Descrizione

Il sostituto procuratore della Repubblica di Modena Arianna Esposito ha da poco ottenuto il trasferimento a Napoli, sua città natale, quando fa una scoperta sconcertante: l'imputato di un processo cui dovrà subentrare è Lorenzo Blezzi, suo professore al liceo classico, con il quale aveva intrecciato una lunga e importante relazione sentimentale. Il professore è accusato di aver avuto rapporti sessuali con una sua alunna, la minorenne Selene Scopelli. Arianna si ritrova così di fronte a un bivio: fare la cosa giusta, e cioè andare a riferire dell'incompatibilità della sua conoscenza pregressa con l'imputato, oppure tacere. Da questa decisione dipenderanno non solo le sorti del processo, ma anche la vita personale della protagonista, perennemente in bilico fra bisogno d'amore e un'ansia incomprensibile di mettere radici. Nel contempo è chiamata a fare da testimone alle nozze dello zio che le ha fatto da padre, nozze che lei non vorrebbe ma che pure non ha il coraggio di osteggiare fino in fondo. In un viaggio costante tra presente e passato, tra coscienza e incoscienza, tra etica personale e professionale, Arianna, accompagnata da una scrittura limpida e folgorante, sarà costretta ad affrontare tutti i suoi dubbi senza possibilità di fuga. Oramai ha poca scelta: deve crescere e affrontare la vita che ostinatamente la reclama, una volta e per tutte. E nulla sarà come prima.

L'autrice

La testimoneFrancesca Gerla (Napoli 1976), insegnante, ha lavorato per riviste e case editrici in qualità di redattrice e traduttrice. Tra i libri tradotti il saggio Il bambino filosofo di Alison Gopnik (Bollati Boringhieri) e il romanzo Julie & Julia, di Julie Powell (Rizzoli). È ideatrice e coautrice dello spettacolo teatrale Regine. Nel 2017 ha ricevuto il Premio Ritratti di territorio per la scrittura. Collabora con la rivista Polis. Negli anni ha pubblicato tanti racconti ricevendo vari riconoscimenti (oltre a quelli nell’ambito del premio Cava de’ Tirreni, ha ottenuto il primo premio per L’avventura di essere donna, 2015, e per Napoli Cultural Classic 2016). Con il primo romanzo, L’isola di Pietra (Homo Scrivens 2013), tra le altre cose è finalista al Premio Nabokov 2013. Con il romanzo inedito La rovinafamiglie è finalista al Premio Idea Bellezza Tacco Matto 2015. La testimone ha vinto il premio Il Convivio 2015 ed è finalista al premio Carver 2015 e al premio Città di San Giorgio a Cremano. Con la poesia Irene è una gatta, menzionata anche al Premio L’iguana, ha vinto il premio Megaris 2018.
Nel novembre del 2016 pubblica il libro Sei personaggi in cerca di Totore, scritto a quattro mani con Pino Imperatore. È ideatrice e coautrice dello spettacolo teatrale Regine, voluto anche dall’Assessorato alla Cultura di Napoli a conclusione della Giornata Mondiale del Libro 2016. L’ultimo romanzo è La gabbia, Emersioni 2019, finalista al premio Garfagnana in giallo, terzo posto al premio letterario Nova Sociale 2020 e primo premio In costiera amalfitana – Giallo/Noir 2019.

Leggi il primo capitolo

«Arianna scusa, la segretaria della collega ti ha lasciato il fascicolo sulla scrivania, dice che il tuo studio era aperto».
«Eh? Ah, sì, ero uscita a fumarmi un sigaro».
«Un sigaro? Stai attenta a non lasciarla aperta la porta, non si sa mai. Mi stai sentendo?»
«Come? Ma certo, perché?»
«Non so, hai l’aria distratta. Allora io vado. Posso andare? Posso stare tranquillo?»
Arianna non era più abituata all’invadenza dei campani. Ora, quel cancelliere di fronte a lei, a un passo della pensione, le dava del tu e la trattava come una ragazzina solo perché un tempo lei aveva frequentato la figlia.
«Ma sì Alfonso, stai tranquillo».
«È che da quando sei tornata da Modena ti vedo diversa… a che pensi?»
A che pensava?
«A niente, Alfonso, stai tranquillo».
«E non fumare troppo».
«E chi fuma».
«Ma se hai detto….»
«Se ho detto…? Eeeeecciù!»
«Salute».
«Ce l’hai un fazzoletto? Grazie. Vado Alfonso, ecciù, ciao, eh…»
E Arianna lasciò volare nell’aria i suoi capelli castani, quasi biondi, e l’odore dello spray alla vaniglia che quella mattina aveva avuto la pietà verso se stessa di spruzzarsi addosso, per evitare di sapere di legno marcio come la stamberga che era riuscita a rimediare per quei primi tempi. Che poi la puzza di legno marcio la percepiva solo lei, così almeno sosteneva la cugina, ma Arianna se la sentiva addosso fin nelle mutande.
«Dottore’ i fascicoli!» urlò Paola, la segretaria obesa di Diana, la collega che Arianna stava sostituendo da ieri, da quando cioè era finita improvvisamente in maternità. Paola aveva la capacità straordinaria di correre sul pavimento come se scivolasse sui pattini, immobile eppure in movimento; riusciva a raggiungere il punto estremo del corridoio in un batter d’occhio mentre urlava istruzioni ai passanti, producendo un perfetto effetto doppler.
«Sì sì Paola, me l’hanno detto».
«Alfonso, eh?» urlò quella di rimando, ma aveva già girato l’angolo ed era scomparsa risucchiata dal corridoio e dalle incombenze.
Arianna intanto era arrivata alla porta del suo ufficio e fu con un sospiro di sollievo che inforcò l’ingresso, lasciandosi alle spalle il caos della mattinata in Procura. Dentro regnava un ordine insolito per lei, riconducibile alla breve permanenza tra quelle pareti, considerato che aveva preso servizio a Napoli da neanche due giorni. Il tempo di mettere tutto in disordine, com’era buona norma nei suoi uffici, non lo aveva ancora avuto.
Sull’ampia scrivania in ebano per il momento troneggiavano solo pochi oggetti, silenziosi e assorti. Il computer, bello, massiccio e ingombrante, il telefono, altrettanto vintage, un’agenda aperta, con le pagine svolazzanti sotto il vento proveniente dalla finestra aperta, qualche volantino sparso qua e là, che minacciava di precipitare al suolo, e infine lui, il fascicolo. Anzi, i fascicoli.
Arianna si avvicinò alla poltrona della scrivania, con la quale per la verità aveva sviluppato un certo feeling fin dal primo contatto quel lunedì, e sfiorò lo schienale morbido in pelle nera. Quando si accomodò, la poltrona l’accolse con uno sbuffo di simpatia. Lasciò scivolare le dita sulla copertina in plastica trasparente, e lesse:
Questura di Napoli. Squadra mobile.
Oggetto: denuncia-querela presentata da Ognissanti Antonietta nei confronti di Lorenzo...
Ma non riuscì a formarsi una memoria di quel che aveva letto, poiché fu distratta da qualcosa che percepì con la coda dell’occhio. Qualcosa d’insolito, che si muoveva per la stanza. Arianna alzò lo sguardo, e intravide un’ombra rossiccia sfilare poco distante, infilando la porta che lei era certa d’aver chiuso, e che invece vide socchiusa. Una coda.
“Un gatto qua dentro!” pensò, alzandosi in piedi. In rapidi passi fu vicino all’uscio del suo studio e si affacciò in corridoio, per spiare l’animale e seguirne eventualmente le orme. Ma non vide niente di felino.
«Paola!» urlò, vedendo ripassare la segretaria.
«Dottoressa» fece l’altra scivolando nella sua direzione «che succede?»
«Succede che girano gatti per la procura».
«Gatti?» e si fermò un istante, aggiustandosi con il mignolo gli occhiali che le cadevano dal naso e tenendo con il resto delle dita e delle mani volumi e volumi di fascicoli.
«Gatti, uno rosso per la precisione. Ti sembra una cosa normale?»
«No» ammise Paola «porto giù questi e avverto la sorveglianza».
«Chiamiamo i carabinieri!»
«Lei ha voglia di scherzare» disse Paola allontanandosi a velocità supersonica.
Arianna girò sui tacchi e questa volta la porta la chiuse davvero e con cura. Non voleva altre intrusioni, animali o umane che fossero. Si avvicinò alla scrivania, si lasciò coccolare dalla poltrona e sprofondò di nuovo nel silenzio del suo studio così immacolato e rassicurante, per quanto non ancora suo in senso stretto. Una vera esagerazione, tutto quell’ordine.
Con gesto rapido si sfilò le scarpe. Fece roteare le dita dei piedi, si carezzò con un piede una caviglia, sbadigliò. Di nuovo ai fascicoli.
Questura di Napoli. Squadra mobile.
Oggetto: denuncia-querela presentata da Ognissanti Antonietta nei confronti di Lorenzo Blezzi.
Lorenzo…?
“Oggetto: denuncia-querela presentata da Ognissanti Antonietta nei confronti di Lorenzo Blezzi”.
Lorenzo Blezzi? Non può essere… ma no. Forse un omonimo?
Da quant’era che non lo vedeva?

«Lorenzo…» aveva detto lei dieci anni prima quando lo aveva rivisto, e i capelli di lui le erano parsi gli stessi di un tempo, solo con un soffio di grigio in più.
Lui si era girato, e il suo viso si era aperto in un improvviso bagliore di stupore.
«Arianna! Ti credevo a Modena».
«Infatti, sono tornata solo per Natale».
«Come stai?» aveva chiesto lui, e negli occhi aveva quella luce, la stessa identica luce di tanti anni prima.
«Papà, andiamo?»
«Vai, Lorenzo… io sto bene».
«Aspetta, dove vai? Vieni a prenderti un caffè con noi».
«Ti ringrazio, vado di fretta».
«Lucia, te la ricordi Arianna? Era al Vico con me, adesso è magistrato…»
«Complimenti» fece la moglie, allungandole la mano. Arianna la guardò per un istante. Cinquant’anni portati male, i capelli arruffati, la fila di ricrescita bianca che impietosamente si faceva avanti sopra una fronte piatta di movimenti. Lo sguardo piccolo e inesistente, il sorriso sincero, la mano calda.
«A lei». Arrossì per l’assurdità della risposta e aggiunse: «Mi aspettano, devo proprio andare», quindi con un ciao s’infilò tra la folla del Natale.
Incapace di reggere l’emozione e di reggere l’incapacità stessa di reggere l’emozione.
Il telefono del suo studio squillò e Arianna sobbalzò.
«Arianna… sono io».
Dall’altra parte una voce di uomo.
«Salvo… ti avevo detto di non chiama-a-a-a-re, almeno non qui. E-e-e-cciù malededda alleggia. Non gapisci che ho bisogno di congentrarmi, di non pensare…?»
Arianna si rialzò dalla poltrona come se sedersi avrebbe comportato il prolungamento di una conversazione che non era intenzionata a portare avanti.
«Sei contraddittoria. Vuoi concentrarti senza pensare…»
«Dai, hai capito (soffiata di naso). Sentiamoci la settimana prossima. (Altra soffiata) Io poi torno, lo sai, devo prendere le mie cose…»
«Lo so che torni, ma chissà quando. Vedi? Senza di me ti becchi pure il raffreddore… Non sai badare a te stessa».
«Che razza di sciocchezza, è allergia».
«A Modena non ne soffrivi».
«Graminacee e parietarie, qui ne è pieno».
«Posso anche venire io giù da te, questo weekend. Mi sono liberato».
«Ma lascia perdere, lascia le cose così come sono».
«Io non lascio un bel niente, e comunque non aspetto. Ti chiamo stasera a casa».
«Non ce l’hai mica, il numero di casa».
«E tu dammelo».
«Salvo, arrivederci» e attaccò bruscamente. Le parve persino che il telefono fumasse. Fumasse di impazienza o di ostilità o di contrarietà o di un qualche sentimento riposto in un qualche angolo assopito della mente comunque opposto e contrario alle intenzioni di chi l’aveva appena chiamata.
Bussarono alla porta.
«Che volete ancora!» urlò Arianna.
E Paola si affacciò: «Niente dottoressa, torno un’altra volta».
«Ma resta qui, entra e scusami».
E rossa in volto si eclissò tra le carte.

«Arianna, l’hai beccato tu il caso del professore pedofilo, no?» le chiese Guido.
«Pedofilo…? Credevo che la ragazzina avesse sedici anni, e aspetto maturo».
«Ne ha quindici appena compiuti, e non è più matura della sua età» ribatté lui. «Comunque, volevo dirti che Diana mi aggiornava spesso sulle indagini, se posso esserti utile…»
«Non preoccuparti» rispose Arianna «so cosa fare».
«Ma ce l’hai con me? Non hanno potuto assegnarmelo, sono imparentato con la madre della ragazzina».
«Lascia perdere, non è per il caso. Scusami, ho dei modi pessimi. Vuoi un caffè?»
Arianna guardò per la prima volta Guido e uno dei suoi impeccabili completi blu scuro. Guardò i capelli neri e lunghi fino al mento, nonostante i trentasette anni, e vide le sue occhiaie azzurre, azzurre come la speranza di sopravvivere a quella settimana d’inferno.
«Ci vorrebbe, grazie. Ti capisco comunque, che situazione…»
Arianna e Guido si conoscevano da tempo, poiché avevano frequentato insieme il corso di preparazione al concorso di magistratura. Lui sedeva sempre in prima fila e aveva una ragazza all’epoca, una certa Valentina, biondina e graziosa ma inconsistente, rispetto al vulcanico e brillante fidanzato. Il tempo di arrivare a fare gli scritti, e la loro storia era già conclusa. Valentina era tornata a Tivoli dove adesso faceva l’avvocato ma esercitava poco, con due bambini e, si diceva, un terzo in arrivo. Arianna non l’aveva più rivista. All’epoca provava una muta indifferenza per lei e una certa simpatia per lui, nonostante la notevole diversità d’approccio nei confronti del concorso. Guido era sempre puntuale, sempre in prima linea, sempre impeccabile; Arianna era sempre un disastro, sempre in ritardo, sempre in disordine. Però si stimavano da lontano, e non si erano stupiti nell’apprendere che entrambi avevano superato il concorso. Poi si erano persi di vista per un certo numero di anni, e adesso eccoli colleghi.
Insieme percorsero il corridoio per scendere al bar, e curiosamente Arianna pensò a Salvo e alle mille volte che insieme a Modena avevano preso uno dei loro immancabili caffè.
«A volte mi verrebbe da chiederti a che pensi, ma ho paura della risposta» le disse Guido facendole strada mentre apriva una porta a vetri.
«Mi attribuisci pensieri troppo importanti, decisamente» rispose lei, che però apprezzava quel modo confidenziale con cui il collega la trattava. Dopotutto, si sentiva un po’ spaurita e intimidita dall’ambiente nuovo, odiava non sapere precisamente dove mettere bocca e mani e odiava se stessa per sentirsi così spaurita e intimidita. Ancora tante insicurezze, alla sua età! Ancora con quella sensazione strisciante di essere imbranata e di non sopravvivere alle difficoltà della vita. E allora contrapponeva come sempre, anzi peggio di sempre, quel pugno chiuso contro la realtà e gli esseri assurdi che l’abitavano. Per quanto si sforzasse a sprazzi di mostrarsi più aperta e disponibile, puntualmente risorgevano le incertezze, in una spirale di modi e contromodi che facevano impazzire lei per prima, figurarsi gli altri. Quelli che manco sapevano cosa le bolliva in pentola.
L’aver ritrovato un compagno di studi riduceva la necessità di costruire rapporti formali almeno dal punto di vista numerico, e contribuiva a farle provare di tanto in tanto la sensazione di poter respirare un po’ d’aria fresca. O quanto meno di poter mandare affanculo qualcuno senza farsi troppi scrupoli. Almeno, tra lei e Guido le cose erano chiare, viaggiavano ad armi pari.
«Sei sempre stata brava a schivare le potenziali domande difficili. Facciamo così» e si girò per farle strada nell’entrare nel bar «dimmi solo come hai preso questo ritorno in patria e come ti senti. Giulio, a me oggi va al ginseng, alla signora… normale?»
Arianna non rispose.
«Non mi sembri tipa da ginseng. E neanche da decaffeinato. A vederti così, con quei tuoi occhi nocciola, direi che sei piuttosto tipo da…»
«A volte mi verrebbe da chiederti se stai cercando di corteggiarmi, ma ho paura della risposta» disse lei, guardandolo di sottecchi. Lui esplose in una risata affascinante, come affascinante era ogni angolo e ogni spigolo e ogni pelo della sua persona.
«Sei incredibile, oltreché sfacciata. Parlo di caffè e finisco con un’accusa di molestie…»
«Allora la signora prende…?» s’intromise il barista.
«Un succo, grazie. Sì, parli di caffè… Longobardi, fai bella mostra di conoscermi e con toni da viveur, e io ahimè non sono nata ieri. Dì un po’, ce l’hai qualcuno nel letto?»
«Mi possano ammazzare se ti rispondo» e Guido non smetteva di ridere. «Ti farò sprofondare nella curiosità» e ingoiò in un solo sorso il suo caffè. «Più tardi però ti aiuto con sto casino del professore, se ti va» aggiunse.
«Lascia stare. Se ho bisogno ti chiamo io» disse lei un po’ brusca.
«Va bene signora, come lei desidera». Lanciò le monetine nella vaschetta di fronte alla cassa e ritirò lo scontrino. «Sei sempre stata la mia antipatica preferita».
«La tua antipatica preferita, questa poi… Ma lo vedi che ci provi?»
E senza smettere di ridere Guido rispose al cellulare di turno, che squillava nella sua tasca già da qualche minuto.
Quattro mesi prima, a Modena
Salvo aprì la porta dello studio di Arianna con le chiavi, che portava regolarmente in tasca.
«Sorpresa!» esclamò, abbronzato nonostante fosse gennaio.
«Che ci fai qui?» borbottò Arianna, mentre un sorriso di sbieco le apriva il malumore. «Non dovevi essere in ferie?»
«Sono tornato ieri sera, ho riposato tutto il giorno e sapevo di trovarti ancora qui a quest’ora. A casa ho detto che andavo a calcetto».
«Che ore sono?» chiese Arianna, alzandosi dalla sedia e sbadigliando.
«Le dieci e mezza, quasi le undici».
«Madonna Minzetti, lo sai che mi stavo addormentando?» sbadiglio. «Mi hai svegliata… sì, ho deciso che mi hai proprio svegliata». E schivò un bacio di lui. Si avvicinò alla finestra come per accertarsi che davvero la luce lì fuori fosse scomparsa del tutto, cedendo il posto a una serata che all’interno della procura aveva il sapore della solitudine assoluta. Salvo le si accostò da dietro e le fece scivolare una lunga carezza dietro la schiena.
«Sei ancora arrabbiata…» quasi sussurrò, sfiorandole con un bacio la spalla destra.
«Arrabbiata…? Ma no» fece lei, senza girarsi, «è solo che mi girano, ma tu non c’entri».
«E allora…? Non mi saluti?» e le infilò la mano nella camicetta. Arianna sentì le dita tozze eppure gentili del suo amante, e si ricordò di desiderarlo. Tuttavia, un principio di contraddizione più profondo del desiderio la spinse a scostarsi ancora, con un gesto stavolta marcatamente brusco.
«Scusa, ho ancora sonno» mentì.
«Lo conosco questo sonno. Si chiama “sono ancora arrabbiata”».
«No, scusa, hai ragione…» disse lei, e si chiese quante volte le fosse capitato nella vita di chiedere scusa l’attimo dopo aver maltrattato qualcuno, passando automaticamente dalla parte del torto anche nelle questioni più insignificanti. Non imparava mai, lei.
«Ciao» miagolò allora, palpandogli la patta dei pantaloni, immancabilmente rigida.
«Ho una cosa importante da dirti» disse lui.
E, dopo questo, non sarebbe più stato lo stesso.

Paola era scivolata via da qualche minuto, portandosi dietro una scia di istruzioni domande precisazioni e svoltando silenziosa dietro la porta del suo studio, quando Arianna si decise ad accostare il fascicolo alle sue mani sudate. Per qualche secondo giocherellò nervosa con il bordo delle pagine, sgualcendole. “Non voglio aprirlo” si disse. “Ora vado di là e lo dico al procuratore”.
Si alzò di botto. Sentì di aver indossato un pantalone troppo attillato ed ebbe la sensazione di soffocare.
“Dico cosa? Magari non è lui”.
Non poteva essere lui.
Prese a girare per la stanza, guardando quel poco che vi era appeso. Il calendario dei carabinieri, in eleganti tinte pastello. Un quadretto che ritraeva Napoli, lasciato dalla collega precedente. Un altro poster di un quadro di Kandinsky. Una crepa sottile e lunga, che finiva in un angolo buio come desideroso di restare per qualche motivo senza un prosieguo e privo di direzione. Il vano della porta, in legno caldo e un po’ stinto. Arianna osservava tutto, al contempo distratta e partecipe. “Se esco da qui e mi mostrano la foto di un oggetto contenuto in questa stanza, saprei riconoscerlo? Non ancora”. E con questo finto tormento trascorse qualche minuto.
Poi improvvisamente e precipitosamente tornò alla scrivania, come se avesse fatto tardi a un appuntamento. Tornò alla scrivania e aprì il fascicolo.
1.I fatti che hanno dato origine al presente procedimento ed i gravi indizi di colpevolezza

L’odierno procedimento trae origine dalla denuncia-querela presentata dai coniugi Ognissanti-Scopelli, i quali denunciavano che la propria figlia Selene, appena quindicenne, era stata irretita dalle attenzioni sessuali del suo insegnante di lettere, Blezzi Lorenzo.
La madre in particolare narrava di aver letto nel diario della figlia alcune pagine in cui Selene descriveva ripetuti rapporti sessuali con un certo L., che veniva descritto come uomo adulto e comunque di età nettamente superiore a quella della ragazza quindicenne. La sconvolgente scoperta convinceva madre e padre ad affidarsi a un investigatore privato, incaricato di seguire Selene. Nel corso di qualche appostamento, l’investigatore riferiva d’aver trovato la ragazza in compagnia del suo professore di lettere in orario esterno a quello scolastico, in automobile di sera. Tuttavia, durante l’appostamento non era stato in grado di vedere, e di conseguenza fotografare, altro che semplici conversazioni.
I genitori si recavano così in data … al commissariato a depositare la denuncia ai danni del Blezzi Lorenzo, docente di lettere presso il liceo Gianbattista Vico di Napoli…
Arianna alzò la testa dal fascicolo e si vide riflessa nel vetro della finestra. Vide il suo volto tondo attorniato dai capelli spettinati, il suo aspetto di donna ancora giovane, ma confuso, inespresso, per certi versi acerbo, come in costruzione. Vide il suo profilo stanato su uno sfondo che stava imbrunendo; al di là del vetro mura alte intervallate da altre finestre simili alla sua dietro le quali si celavano altre donne e altri uomini persi in fascicoli come questo. Guardò una nuvola in leggero movimento e ne seguì la rapida evoluzione in una creatura spaventosa, che minacciava pioggia e instabilità al contempo mostrandosi saggiamente orientata a una violenta accelerazione del tramonto. Tre uccelli all’unisono s’involarono verso il segno scomposto di una scia d’aereo e Arianna si perse nella loro traiettoria dolorosa in direzione di un riparo, che fosse buono almeno per quella notte. Si riscosse e guardò le pagine senza vederle, ne sentì la consistenza spaventosa e rassicurante al tempo stesso e pensò di agire in qualche modo. Guardò e guardò ancora e pensò che doveva crescere e affrontare la vita che ostinatamente la reclamava, una volta e per tutte.

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