Mare Loro

Francesca Romana Mormile

Mare Loro

Descrizione

L’avvocata Bentivoglio, familiarista di successo e single piacente, va per la vita a passo svelto dal tribunale allo studio, dall’attico al piano terra, dal suo fuori al suo dentro. Nella pretenziosa palazzina in cui abita, la vita sembra invece arenata sulla superficie dei corrimano e nell’immobilismo di una fauna da puzza sotto il naso, facile al pettegolezzo. Satura di giudiziali strapagate e casi di infedeltà, conti correnti chiusi, cointestati e volatilizzati, si lascia coinvolgere in un programma di formazione per minori non accompagnati dal giudice Sciacca, grande amore degli anni giovanili. Grazie al magistrato palermitano, personaggio di potere e straordinaria simpatia, l’avvocata Bentivoglio scende dai tacchi e impara a stare con i piedi per terra. I viaggi a Lampedusa e l’impatto con la nuova realtà, e in particolare il rapporto con un adolescente eritreo, la convinceranno a sposare la causa fino alle estreme conseguenze e ne cambieranno definitivamente il modo di guardare alla realtà. Fatti che risuoneranno anche tra gli inamovibili condòmini di Roma Nord, con un effetto domino dai frutti insperati. Sullo sfondo di una tragedia contemporanea, le pochezze, i pregiudizi, il respiro corto di personaggi da comedy si dissolvono, avvicinando vite distanti e di là da venire.

L'Autrice

Mare Loro

Francesca Romana Mormile è nata a Taranto, si è formata a Roma e laureata a Milano in Lingue e Letterature Straniere Moderne. Ha insegnato presso gli Istituti Statali di secondo grado e collaborato con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha pubblicato per Dario Flaccovio Il Minotauro cieco e Due Coglioni. Prontuario di etica del cazzeggio. 

Vive a Roma e si occupa di formazione, traduzioni e scrittura.

La parola alla Giuria

Un condominio diventa specchio della società, comunità narrante per raccontare le dinamiche sociali che agitano la collettività, ma soprattutto le coscienze: in un romanzo di grande valenza civica, senza sovrastrutture morali, Francesca Romana Mormile punta i riflettori su un mondo in continuo cambiamento, dove le nostre certezze sono rimesse sempre in discussione. Il dramma dell’emigrazione non è visto più nella retorica delle immagini televisive ma attraverso la carne viva dei protagonisti, nel vissuto quotidiano, nelle storie esistenziali che non possono perdersi dietro astruse teorie e proclami politici. Il mare di Lampedusa entra nelle strade delle nostre città, i gommoni sembrano sbarcare nelle abitazioni come onde d’urto, per porci dinanzi al dramma di un’umanità singolare, non più fatta di morti anonimi ma di persone vive, in cerca di riscatto. Quanto mai riuscito il personaggio di Anbessa, quattordicenne eritreo. È lui a scardinare in maniera non violenta il sistema, a far crollare idealmente il “palazzo delle certezze”, il signorile riserbo dell’orticello da appartamento, la filosofia del “mi faccio i fatti miei”. Accanto a lui due donne, l’avvocato Bentivoglio e l’insegnante Ida, pongono in essere una rivoluzione silente fatta di piccoli gesti e azioni coraggiose. Pagina dopo pagina, la storia si fa avvincente e al tempo stesso induce il lettore a riflettere su temi come il lavoro, la famiglia, la maternità, le radici culturali, la globalità, l’accoglienza. “Mare loro”, come nella migliore lezione di Pirandello, smaschera le ipocrisie, mette a nudo le armature che ci si costruisce come inutile difese, pone in primo piano l’umanità necessaria, rimette sul tavolo un’attualità spiazzante e interrogativa.

Concita De Luca

Leggi l'incipit

Premessa
Sto tutto il giorno a guardare questo tratto di strada dalla mia postazione, un’edicola a pianta quadrata, tre pareti di superfici espositive e un affaccio sulla via, poco più grande del parabrezza di una Cinquecento. Un’infanzia a sfogliare album di figurine con l’appagamento della Carlina, quando ronfa sui giornali della resa, ore e ore ad appiccicare scudetti e calciatori, a leggere Topolino, a spiare i gesti di mio padre e ascoltare i commenti del lunedì mattina.

“’Na vitaccia”, mi ricorda il vecchio ogni poco. “Tanti sacrifici pe’ fatte studia’ e tu te metti a sede ar posto mio! Ma come te va de sta’ appresso alle fisse de l’anziani, ai capricci de li pupi e alle fregole dei pischelletti?”.

“Nemmanco er porno tira più”, gli rispondo, e nun sto a scherza’.

“Ecco”, fa lui, che questa storia non la manda giù.

Ci ho provato a spiegargli che ho imparato più sullo sgabello che sui banchi di scuola, che osservare è enigmistica e si uniscono i puntini e si svelano i rebus, ma non ci sente né da quell’orecchio, né dall’altro. Io ci passo sopra, perché ci sento e vedo benissimo e mi diverto a studiare persone che si muovono, parlano, ridono e si arrabbiano in modo diverso. Gioco a trova le differenze che non sono poche, perché vengo da un’altra città, dove niente si fa in punta di piedi: si parla forte, si ride forte e ci si incazza forte. Sta di fatto che nella Roma dove sono nato io, un rodimento di culo è un rodimento di culo, non resta giorni e giorni sulla faccia della gente, ma finisce in piazza, al baretto, ed è subito terapia, tra un “vedi d’annattene” e una pacca sulla spalla.

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