Mia sorella mi rompe le balle

Margherita Tercon, Damiano Tercon

Mia sorella mi rompe le balle

Secondo premio Narrativa edita XXXVII edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2021

Descrizione

Damiano è un ragazzo grande, grosso e con pochi amici perché ama passare le sue giornate facendo cose che gli altri ragazzi non capiscono, come fissare il turbinio vorticoso della lavatrice o giocare per ore con i coperchi delle pentole di sua nonna. Ma la sua vera passione è quella per la musica, soprattutto classica, visto che vorrebbe diventare un cantante lirico. Anche se ama pure il jazz, la musica da discoteca, la dance, la techno e chi più ne ha più ne metta. Tranne la musica rock, quella che invece sua sorella minore Margherita ascolta a tutto volume nella stanzetta accanto.
Anche Margherita, in realtà, di amici non ne ha poi molti di più rispetto a Damiano. Fin da bambina tutti l’hanno considerata un po’ troppo strana, troppo matura per la sua età, troppo in carne, troppo simpatica, troppo triste oppure troppo epilettica. Per trovare il suo posto nel mondo, Margherita ha provato invano a vivere a Rimini, Milano, Parigi e Dublino, studiare teatro e filosofia, lavorare come cameriera o come project manager. Non si era accorta che il suo posto, in realtà, era dove aveva passato gran parte della sua vita: accanto a suo fratello Damiano.


È bastata una diagnosi per farglielo capire: sindrome di Asperger. Damiano è autistico, ma quella che poteva essere una patologia che avrebbe separato definitivamente le loro strade, invece le ha intrecciate per sempre. Del resto se Damiano voleva davvero diventare un cantante lirico, da ora in poi avrebbe avuto bisogno più che mai dell’appoggio di sua sorella.
E da quel giorno Margherita si è immersa nel mondo vero e surreale di Damiano. Un mondo in cui le domeniche si festeggiano compleanni di ventilatori, si preparano torte dedicate ai vent’anni dell’interruttore della luce nello sgabuzzino o alla presa della corrente nel corridoio. Un mondo in cui la fantasia diventa reale e in cui i sogni sono così concreti che si possono quasi toccare.

Gli autori

Mia sorella mi rompe le balle

Damiano Tercon è nato a Rimini dove abita, vive e risiede. È un cantante lirico basso con sindrome di Asperger. Grande appassionato di musica, dal 2017 è parte del coro lirico della sua città. Si esibisce sui palcoscenici di tutta Italia con sua sorella Margherita, che Damiano ha soprannominato: “l’adoratissima agente”. Insieme, realizzano video sul web portando avanti un messaggio di consapevolezza e sensibilizzazione sui temi legati all’autismo, cercando di abbattere ogni barriera e pregiudizio.

Margherita Tercon prima di diventare “l’adoratissima agente” di Damiano ha lavorato come autrice televisiva e drammaturga. Si è diplomata presso la scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano e si è laureata in filosofia alla Sorbona di Parigi. Quando la sua vita sembrava ormai stabile, con un contratto a tempo indeterminato e un lavoro di responsabilità, ha deciso di lasciare tutto per inseguire il suo sogno e aiutare suo fratello nella carriera canora. Nel 2019, in coppia con Damiano, si è esibita a “Italia’s Got Talent”, la prima di numerose presenze televisive

La parola alla Giuria

Damiano e Margherita Tercon sono due fratelli di Rimini che da tempo raccontano le loro storie tra il serio e l’ironico sui social. Amatissimi dal pubblico del web e poi televisivo (uno straordinario successo la loro partecipazione ad Italia’s got talent con oltre 5 milioni di visualizzazione on line)  hanno deciso di mettere su carta i loro dialoghi. Ne è uscito un libro densissimo e vivace dove i temi messi in campo sono notevoli. Ma procediamo con ordine. Il gioco a metà tra dialoghi, canzoni e racconti di Damiano e Margherita partano dalla sindrome di Asperger di Damiano e dal suo sogno (desiderio, obiettivo) di voler essere cantante lirico (e qui viene in ballo la sorella, Margherita, che tra provocazione e ilarità, costruisce con il fratello divertenti siparietti (tante volte anche molto educativi e impegnati, senza mai dimenticare la voglia di sorridere). Questo libro è una magnifica storia di sibiling (il termine inglese che indica fratelli e sorelle di persone con disabilità). Ma è anche un viaggio delicatissimo nel mondo dell’Asperger, di bullismo, di poesia, di legami profondi. Ma anche di musica, tanta musica (la classica e la lirica soprattutto ma anche il jazz, la discomusic, la techno. Tranne il rock amato da Margherita e vivacemente detestato da Damiano).  Un libro che con grande intelligenza e sensibilità naviga in tanti mondi ed inquietudini (anche di Margherita). In questo libro-dialogo ci immergiamo sempre più nel mondo di Damiano dove la fantasia è un motore potente e continuo. Un libro bello, ironico, pieno di suggestioni e visioni del mondo. Un libro che ci cattura e dona emozioni in continuazione. Un libro densamente musicale e giocoso
Alfonso Amendola

Leggi il primo capitolo

Partirò… dall’inizio.


Sono sulla veranda di casa, al quinto piano.
Un raggio di sole illumina la sedia a dondolo di paglia. C’è un gran silenzio, qualche uccellino canta in lontananza. Chiudo gli occhi.
«Nonna?»
«Dimmi, Amore.»
«Ma come glielo spiego?»
«A chi?»
«A loro.»
«Che cosa, tesoro?»
«Che non c’è nulla di cui preoccuparsi?»
Mi sorride, con quel volto così delicato, tra i suoi boccoli dorati: «Non è semplice, vero?».
Provo a prenderle la mano, ma sfugge.
«Non è affatto semplice, nonna. E poi tu sai come sono andate le cose, per molti anni. Hai visto. Capirai che è facile scoraggiarsi, lungo il percorso.»
«Diciamo che, purtroppo, non sono sempre stata presente.»
«È anche per questo che lo chiedo a te, nonna. Se avessi potuto vederci, seguirci nelle nostre avventure… ci avresti creduto anche tu, come noi? Ci avresti accompagnati, incoraggiati?»
«Ma certo che sì.»
«Insomma, non è detto che le cose debbano sempre andare a finire male, anche se a volte sembra l’unico scenario possibile.»
«Non esiste mai un unico scenario possibile, tesoro. Esistono punti di vista diversi. Modi di reagire al mondo e a ciò che capita.»
«È proprio vero, nonna.»
«Tu, la tua famiglia e il tuo fratellone non siete persone che si lasciano abbattere.»
Annuisco, in silenzio, cercando di crederle.
«Nonna, posso raccontarti la storia? Tutto quello che non hai visto?»
«C’è anche il nonno, qui, ad ascoltarti.»
Lo saluto. Da dietro i suoi pesanti occhiali, chiede: «E da dove comincia questa storia?».
«Da una mail.»
«E che cos’è una mail?»
«Una cosa su internet.»
«Internet?»
«Ve lo faccio vedere dal cellulare.»
Prendo il mio telefonino. Glielo mostro.
Nonna scoppia a ridere: «Non sanno più cosa inventare!».
Sorrido anch’io.
Apro la posta.



«In realtà non inizia proprio da qui. Diciamo che da questo messaggio le cose sono cambiate. Partirò… dall’inizio.»
Distolgo lo sguardo dal telefono, gli occhi aperti.
I nonni non ci sono più.

SECONDO CAPITOLO

Damiano, tocca a te


Stiamo per fare uno di quegli esercizi che non mi piacciono proprio per niente.
«Aprite a pagina trentasette» dice la maestra Franca Giuliani. Lei sembra avere circa centocinquant’anni. Ha le labbra sottili e il codice a barre. Dico “codice a barre”, perché è così che mia nonna Cleta chiama quello che viene attorno alla bocca delle signore anziane, quelle rughettine verticali.
«Michele, leggi tu.»
Questa mattina vuole che facciamo l’esercizio della lettura a voce alta e a pagina trentasette c’è il racconto di Nils e il Coboldo.
Comunque, Franca Giuliani si tinge i capelli di biondo e ha i boccoli. I capelli li tiene lunghi e sciolti. Il mio bisnonno diceva che a una certa età le donne devono tenere i capelli corti, altrimenti fingono di fare le giovani e poi succede quello che è successo con Maurizio Grosso.
Maurizio Grosso è il nostro vicino di casa e il padre di Viola, una bambina di poco più piccola di me ma insopportabile, perché vuole sempre giocare e a me sembra un po’ violenta e, se devo dire tutta la verità, io non ne ho nessunissima voglia.
Un giorno ero in macchina con loro e Maurizio stava guidando. A un certo punto, tira giù il finestrino e fischia forte, perché vede una bella signorina bionda dai capelli lunghi.
Io credevo che volesse farle sapere che non doveva camminare in mezzo alla strada, ma lui dice che fischiare alle donne è come fare un complimento. A me questa versione non convince, perché non le sento mai dire indietro “grazie” e a me hanno insegnato che quando uno ti fa un complimento rispondi “grazie”. (E poi l’altra persona deve rispondere “prego”.)
Fatto sta che quando la superiamo si accorge che la signorina aveva la faccia da vecchia e a quel punto si mette a dire: «Dietro liceo, davanti museo!». Viola scoppia a ridere e io fingo di ridere, anche se non capisco il perché.
Passa un’ora (lascio passare un’intera ora perché non voglio fare la figura dello stupido) e gli chiedo perché avevano riso. Loro mi spiegano che hanno fatto una battuta ironica e che hanno riso perché la signorina in realtà era una vecchia che vuole fare la giovane. Quando ho chiesto a Maurizio da cosa lo avesse capito, lui mi dice: «Dal fatto che da dietro si vedeva solo una tipa con un vestitino corto e i capelli lunghi e sciolti come le ragazzine. Quando l’abbiamo sorpassata, invece, hai visto che faccia?!». E Viola inizia ad annuire.
Da questo intuisco che da vecchi bisogna tenere i capelli corti e mettersi i vestiti lunghi fino ai piedi, soprattutto se sei donna, altrimenti significa che si finge di fare i giovani e le persone poi hanno tutto il diritto di ridere di te.
Anche se la mamma, che a me sembra vecchia decrepita incartapecorita, in realtà ha i capelli lunghi e sciolti e il babbo le dice che è bellissima (quindi non le dirò quello che mi ha detto Maurizio Grosso, perché non vorrei offenderla).
«Damiano, tocca a te.»
«Oh, no!» grido.
Tutti i miei compagni di classe si mettono a ridere.
«Damiano!»
I boccoli della maestra tremano (e quando tremano significa che è arrabbiata o nervosa o non lo so spiegare).
Be’, se poco fa io ho detto che questo esercizio lo detesto o megadetesto o superdetesto o supermegadetesto e più in generale lo disapprovo completamente e mi fa schifo, è perché tutti siamo maledettamente condannati a leggere il testo ad alta voce. Ognuno deve avere lo stesso identico libro aperto alla stessa identica pagina. Uno legge e gli altri stanno al segno: io non sto mai al segno.
«Damiano, tocca a te!»
Resto in silenzio. Cerco il punto.
«Da “Nils si mette a leggere…”.»
Ecco. Eccolo. Ci sono. Faccio una lunga pausa, perché ho bisogno di riordinare le idee prima di parlare. Devo ricontrollare di avere trovato il punto giusto (da “Nils si mette a leggere”) e poi mi devo preparare per pronunciare ogni parola correttamente.
«Damiano…»
La maestra sbuffa molto forte e credo che i miei compagni di classe mi stiano guardando male. Perché è così che succede quando gli altri disapprovano i tuoi comportamenti: o ti picchiano o ti uccidono o ti insultano o, se non possono fare né l’uno né l’altro e neppure l’altro ancora, ti guardano male.
Il fatto è che devo concentrarmi. Se qualcuno parla mentre mi sto preparando psicologicamente, allora perdo ancora più tempo.
«Da “Nils si mette a leggere…”, su, Damiano, non abbiamo tutto il giorno!»
Guardo la maestra negli occhi. Quando qualcuno mi mette pressione, io mi agito e faccio più fatica a concentrarmi.
«Ho capito, ho capito, un attimo…» rispondo, guardandola negli occhi.
(Sottolineo il fatto di guardarla negli occhi perché io non vorrei mai guardare le persone negli occhi, ma il mio babbo mi dice sempre «Guardami negli occhi mentre ti parlo!» e ancora: «Devi guardare le persone negli occhi quando ti parlano» o «Guardale negli occhi quando gli parli tu» e così via. Quindi, anche se per me è un terribile sforzo, guardo sempre quelle due cose lì, negli altri.)
Abbasso lo sguardo e osservo di nuovo le parole sulla pagina. Nero su bianco. Le vedo, sono chiare. Ormai sono in quinta elementare, dovrò fare bella figura.
Un raggio di sole entra dalla finestra e illumina le lettere. Vedo volare nell’aria tutto il pulviscolo. O la polvere, non lo so. Più tardi chiederò ulteriori informazioni a riguardo.
Ecco, mi sono nuovamente distratto, dev’essere la pressione. Sicuramente ed indubbiamente è la pressione, non ho altra spiegazione.
Ora devo cominciare. Faccio un respiro e alzo la voce. L’importante è leggere bene ogni singola parola.
«Nils (pausa) si mette (pausa) a leggere (pausa) meccanicamente (pausa) senza capire (pausa) nulla (pausa) e…»
«Come Damiano! Come Damiano, che legge meccanicamente senza capire nulla!»
Io a questo punto mi blocco. Mi giro verso Michele e gli dico: «Non è vero che leggo meccanicamente senza capire nulla! Io leggo normalmente in generale! Anzi…».
Michele si mette a ridere. E per di più non avevo finito la frase, mi correggo: «Anzi, io leggo Normalmente, ma senza capire nulla!».
E tutti che si mettono a ridere. Come al solito.
Ecco perché detesto questo esercizio.

Booktrailer



Torna ai libri