Nuda dentro

Marcella Formenti

Nuda dentro

Premiato con Targa nella XXXIX edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni" – anno 2023

Descrizione

Nuda Dentro è un romanzo storico che abbraccia tutto il secolo scorso. A parlare sono quattro io narranti, quattro donne di ununica famiglia che si passano il testimone nel raccontare parte delle loro vite. A fare da sfondo c’è la storia di Italia. Si parte dal primissimo novecento, le due guerre mondiali, il boom economico e gli anni di piombo, per arrivare agli anni ottanta. Nuda Dentro è, dunque, una saga familiare al femminile. Una famiglia che risale lo Stivale, di generazione in generazione, in una metaforica maturazione della famiglia stessa. Sono quattro ferite profonde, ancora sanguinanti, quattro grandi dolori prodotti dagli accadimenti storici e al tempo stesso da un materno quasi mai funzionante. Il romanzo nasconde una forma di presa di coscienza, una maturazione, attraverso i drammi biografici di queste donne che arriva al compimento di una maternità positiva. Uno dei temi principali è proprio il rapporto madre - figlia, che rappresenta una corda tesa lungo tutto il racconto. Lo ritroviamo in modo esplicito come anticipazione nel prologo e come chiusura nellepilogo, e nel susseguirsi dei capitoli interni a suggerire una lunga gestazione. Emergerà un materno non adeguato che ha determinato una sorta di maledizione familiare e che solo con i continui aggiustamenti e crescite delle generazioni successive ha potuto trovare una forma sana ed equilibrata. A ogni personaggio sono dedicati dieci capitoli.

Le descrizioni dei paesaggi sono minuziose, indugiano sui dettagli per descrivere gli ambienti, al fine di creare per ognuno una fotografia. Ne verrà fuori quello che potremmo definire un album di famiglia.
Il tempo usato è prettamente il presente. Lo ho voluto usare per svariati motivi: per portare in primo piano il personaggio, quasi fosse stato chiamato su un banco dei testimoni a raccontare la sua versione dei fatti; perch
é ho creduto fosse utile nel creare meno distanza possibile con il lettore; infine per riprodurre un senso di immediatezza, di ferita aperta non rimarginata e dare la sensazione che per lo stesso personaggio il racconto fosse qui e ora, ancora vivo. 

L'Autrice

Nuda dentro

Nel 1999 si diploma alla Scuola D’arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, nel 2000 viene selezionata tra le 5 migliori giovani attrici d’Italia per il progetto “Recitar con metodo” di Massimo Castri al Teatro Metastasio di Prato, nel 2002 consegue l’executive master al Piccolo Teatro di Milano seguendo tra gli altri le lezioni di Peter Brook e Lev Dodin. Lavora fino al 2017 come attrice scritturata per compagnie di nome tra cui Teatro Moderno, Casanova Entertainment di Luca Barbareschi e molte altre. Ha lavorato per Radio Popolare e continua tutt’oggi a prestare la sua voce ad agenzie di speakeraggio. Ha partecipato a fiction per produzioni televisive, da De Laurentis a Magnolia. Parallelamente diventa ballerina di tango professionista lavorando al fianco di importanti nomi come Alberto Colombo e Marco Palladino (Campione del mondo 2002). È insegnante di voce, dizione e recitazione dal 2002. Nel 2008 è direttrice didattica della scuola Teatri Possibili di Milano, nel 2011 crea e dirige la Nuova Accademia Tieffe Teatro. Dal 2009 si occupa di distribuzione e organizzazione entrando a far parte come socia della compagnia stabile Tieffe Teatro presso il teatro Menotti Filippo Perego di Milano. Nel corso degli anni svolge anche altre mansioni: assistente alla direzione artistica, responsabile convenzioni, ufficio promozione, gestione sito web e biglietteria. Dal 2004 scrive publiredazionali e articoli per Tu, Bella, ViviMilano, Libero, Corriere Salute, Corriere della Sera, Diva e Donna, Oggi, Pianeta 2030, Economia. Collabora con Emmegi Group CairoRCS Media e il web magazine Signore Si Diventa. È autrice di opere per il teatro e romanzi. Nel giugno 2022 vince il primo premio assoluto con “Nuda Dentro” al Concorso Letterario I Murazzi di Torino. Nel settembre 2022 “La misteriosa morte della Romanziera” vince il secondo premio del Premio Letterario Nazionale Giovane Holden. 

Leggi l'incipit

1. UFungia

«Tindara, Tindara, ruspigghiati...»
«
Madre che fate? Perché parlate dialetto?
«
Nun ti scantari, arma mea! Si pò!»
«
Chi è questo?»
«
Che maniera chi moru vastaso è di parrari? Viddana! Arricìn- tari la vucca!»
«
Scusate madre»
«
Tindara, amuri da me vita, lArcangilu Gabbriele è... non vedi le ali che beddre?... Tu aviri a ffari una cosuzza troppu mpur- tanti»
«
Matri mia e che cosa?»
«Ù
ora nun abbiamo chiù tempo... mi ’à ghiri da to frati pìc- ciulu... Ti vogghio beni, arma mea! Ti vogghio tanto bene» «Anche io mamma!»

Lultima volta che ho parlato con mia madre è stato in sogno.

Tra poco sarà lora del risveglio. Un sole tiepido sorgerà allorizzonte emanando i suoi placidi raggi dicembrini in ogni dove e accomiatando la notte fresca appena terminata.
Il cielo si svestirà man mano del buio e comincerà a colorarsi. Si tingerà di azzurro e rosa. Un color pastello tenue, leggero e limpido. Poi, la sottile linea nera dellombra arretrerà lasciando spazio alla luce.

Ogni giorno si scoprono così, lentamente, come vergini timide e fiere della loro bellezza, la Real Cittadella, poi i Palazzi Colapaj-dAlcontres e Magaudda, il Castello Matagrifone, e più in là Forte San Jachiddu, Palazzetto Coppedè e la chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani, infine il Teatro Vittorio Emanuele II.
Al teatro Vittorio Emanuele ieri si sono fatte le ore piccole con LAida. Il cielo di Messina allalba pare un disegno. Laria salmastra mista allodore di pani e sesamo, dei giuggiulena arabi, in lievitazione nei forni a legna; attraversa gli atomi e raggiunge narici, ancora dormienti, per scuoterne leggermente i peli e insolente incresparle di brividi.

Ci si stringe nella coperta, a dicembre. Si affonda il viso nel cuscino di piume. Ognuno se ne sta al sicuro crogiolandosi nei propri sogni innocenti. Così faccio anche io, scossa da un fugace brivido di freddo mi rintano sotto le coperte continuando a dormire.

Le onde del mare scivolano sulla costa come a volerla accarezzare. Arrivano e si ritirano, sono una coccola damore verso questa terra antica. La nostra Messina a cui la Madonna in persona inviò una lettera promettendo di proteggerla per sempre. Le barche dei pescatori sono uscite stanotte, le si vede in lontananza rientrare. Altre, come in una staffetta, le sostituiranno fiere del compito che andranno a svolgere di lì a poco nelle prime ore del mattino. Alcuni adulti sono già a lavoro nonostante non sia ancora lalba. Mio padre è tra questi. Ogni notte, alle quattro e mezza in punto, esce di casa mentre è ancora buio. Mio padre va a dirigere la stazione. È il capo di tutti e arriva sempre per primo. Gli piace entrare nel suo ufficio e vedere iniziare la giornata. È sempre il primo. Non stavolta.

Mi giro nel mio letto caldo profumato di pulito. La voce dolce di mia madre, anche ieri come tutte le sere da che ricordo, si è accoccolata nellincavo dei miei morbidi padiglioni carica dei racconti di grandi avventure capitate in tempi lontani. Eroi, dei, viaggi e avventure, magia e incantesimi; quando mi fanno troppa paura mi stringo alla mia bambola, Santina, e chiudo forte gli occhi, quasi a voler cancellare quelle parole. Mentre me ne sto lì con gli occhi strizzati arriva sempre in soccorso una carezza della mia mamma, lieve come un soffio, e il mio cuore si calma di nuovo. Allora li riapro e vedo il suo sorriso venirmi incontro. La mamma imprime il suo bacio sulle mie guance, con le sue labbra morbide e calde, lasciando che il suo odore di agrumi in- vada le mie narici. Mi sussurra nelle orecchie «Buona notte» con la sua voce vellutata e calma. Amo la voce di mia madre è lunico suono che voglio sentire prima di dormire.

Sto sognando mamma che mi dice cose che non capisco... la voce si trasforma allimprovviso in un urlo profondo di orco. Un frastuono mostruoso, forte, fortissimo, mi ha sconquassato le orecchie! Alzo la testa in un sussulto. Ho ancora le ciglia at- taccate, gli occhi cisposi. Qualcosa non va. Il letto scivola sul pavimento a destra e a sinistra come se una mano grande lo stesse muovendo, manco fosse una macchinina di quelle di mio fratello grande. Vengo sbattuta di qua e di là con violenza. Siamo un corpo unico, il mio letto e io! «Madonnuzza!» «Mammaaaa» Spalanco gli occhi e grido. Sento le sue urla e quelle dei miei fratelli. «Mamma, aiutoooo, mammaaaa!» Le pareti della mia stanza si sono mosse, come fatte di fango fresco. I mobili si spostano. Le mie bambole sono cadute, le facce si sono rotte e mi guardano sinistre. Lo specchio si è crepato. Ci sono altre grida e pianti. «Mamma dove sei?» Le pentoline delle bambole fanno rumore, le tazzine da tè per i giochi con le amiche del pomeriggio rotolano sul pavimento di maiolica ormai spaccato a metà. Mi arriva addosso ancora una frustata di qualcosa che non capisco. Sono seduta, adesso, sto aggrappata sempre più forte al letto di ferro battuto. Le gambe volano e ricadono, scivolano sulle lenzuola di lino che erano tiepide e accoglienti fino a un attimo fa. Non respiro. Apro la bocca, non c’è voce! Sento mamma che urla. Urla il mio nome, quello dei miei fratelli. La parete di lato della mia camera, quella dove c’è la cassettiera di legno e marmo, si separa con un boato dal resto della stanza, come fosse un pezzo di pane strappato da mani giganti. Sotto c’è un grande buco, unenorme esofago sta deglutendo la mia casa! Chiudo gli occhi per cancellare quello che vedo. Li spremo come limoni. Ce la farò a cancellare questo sogno brutto. «Mamma, unne sii?» Qualcosa mi viene addosso ancora e mi ferisco alla testa. Poi il mondo si ferma.

Mi risveglio, è tutto buio, non si vede niente. Sono incastrata. Le gambe sono chiuse sul mio petto. Un filo di aria ha deciso di venirmi a fare visita e ad aprirmi le narici. Respiro a fatica, il petto fa su e giù come una fisarmonica impazzita, schiacciato. Su e giù, non si placa. Il cuore sfonda le costole, batte velocissimo. Piango, perché non so dove sono. Ho paura. «Mamma», lo riesco a dire ma nella bocca ci sono tanti granelli di terra o polvere. Il sapore è cattivo!

«Dov’è la mia bambola? Dov’è la mia mamma?»
Silenzio. Nessuno mi risponde. Non si sente niente. Nelle orecchie non c’è più la voce di mamma, nelle orecchie è rimasto solo tanto terriccio che mi rende sorda. Chiamo più forte ancora:
«Mamma!»
Sopra di me ci sono due metri di terra e rovine.

La mia casa mi fa da coperta.

Il cielo si è spento allimprovviso. In mezzo al buio si sentono urla ovunque. «Curriti!» «Fujiti!» Un formicaio di umanità colta di sorpresa, attonita, frenetica; si sparpaglia sui resti di una città devastata in soli trentasette secondi. Esseri bianchi e grigi di fu- liggine senza più volto, svegliati dalla rabbia della terra e del mare; si dimenano ovunque. Un raptus improvviso ha scosso la terra, come una tovaglia, sbattendo tutto e tutti al suolo quasi fossimo briciole fastidiose. Secoli di storia scotolati via sotto un cielo sporco di nero e dolore. Il mare offeso, per concludere lo scempio, si è ritratto e poi ha montato la sua furia per abbatterla su questa regione incredula. Sono arrivate tre ondate altissime. Così, chi ha cercato rifugio al porto, si è trovato piccolo, come un moscerino, di fronte a un muro di acqua e rancore, alto de- cine di metri, trovando una morte forse più atroce degli altri soffocati e schiacciati dalla pietra. Sono stati tutti risucchiati nel ventre del mare per poi essere risputati sulla terra, cadaveri apolidi, a chilometri da casa.

Scilla e Cariddi hanno litigato!

Il Cavalier Persichini, mio padre, corre con il cuore che batte allimpazzata, le gambe volano sui resti della sua città, la mente è veloce, la lingua morta nellantro arso della bocca. Anche lui, divenuto bianco e grigio di cenere, ha visto sparire il suo elegante abito di alta sartoria, leffige del suo potere. La sua stazione è distrutta, i suoi sottoposti tutti morti. Solo lui e altri sette sono ancora vivi. È rimasto a comandare una nave già colata a picco. Qualcuno gli ha consigliato di andare a casa, di lasciar perdere, lì ormai non c’è più niente da fare. «A casa?», deve aver pensato confuso. Subito dopo ha realizzato cosa fare: certo, deve tornare a casa! Corre e cade, si rialza, il fiato non perde il suo ritmo con- citato sfidando letà e la disabitudine al movimento. Dopo svariati minuti il corpo disarticolato del Cavalier Persichini è arrivato nei pressi del suo palazzo. Stavolta lultimo è proprio lui, quello che si vanta di essere sempre il primo. Si ferma e deglutisce.

Gli occhi sbarrati, le pupille sono immobili e secche, il suo corpo in piedi è inerme, sembra una statua. Una statua molle urtata qua e là dalla vita confusa che gli si dimena intorno. La sua, di vita, è tutta lì, davanti a lui, crollata in una manciata di secondi. Un pensiero riaccende la mente scioccata. Dove sono la moglie, gli amati figli, le cameriere, i cuochi, i mobili... le grandi stanze dove facciamo da sempre sfoggio del nostro benessere, della nobiltà? Dove sono le fortune condivise con il ristretto gruppo di amici di pari lignaggio? Il privilegio li avrà protetti anche da tutto questo? Forse! Lo sguardo fa uno scatto e poi un altro ancora. Il collo in successione lo segue per vedere intorno.

Non riesce a distinguere né facce, né corpi, e nemmeno sente le voci dei suoi cari. Tutto è buio, bianco e grigio, tutto è confuso e impastato.
«
Pitrina! Binnu! Santo! Tindara... unni site?» Dice con un filo di voce. E insieme a lui si sentono altri nomi, che rimbalzano uno sullaltro nellaria sporca. Ata, Libettu, Lina, Ninu, Batassanu, Lillo, Melina, Cicciu, Tano, Vanni, Gnaziu, Rusidda, Carmela... Ottantamila nomi, altre sessantamila voci di Messina li pronunciano confondendosi con la sua in cerca di una risposta. Qualcuno aiuta, c’è sempre qualcuno grazie a Dio che aiuta. Sono angeli con braccia forti, rinvigorite dalla speranza, mossi dalla pietà. Sollevano casse, calcinacci, porte, vestiti, scavano a mani nude, entrano nel privato, nellintimità, di estranei per ri- portarli alla luce del giorno. Alcuni tra quelli estratti sono corpi esanimi, sembrano bambole di pezza impolverate, vengono messi dai soccorritori di lato, uno sullaltro sopra il fango. La vita scivola via veloce tra le braccia di cari in preda alla disperazione. Mogli, mariti, bambini, ricchi, indigenti; nessuno è indenne. Le morti più brutte sono quelle dei bambini, alcuni li si è visti aggrappati a delle transenne pericolanti, non si è potuto fare nulla, sono caduti incontro al loro funereo destino, caduti nel vuoto come giovani frutti staccati precocemente dallalbero della vita. I coraggiosi soccorritori, con la pena nel cuore, corrono a gruppetti, da una parte allaltra, in mezzo al pericolo, spinti da un altruismo raro, o dalla speranza di trovare qualche familiare vivo, espiando in quellattimo ogni loro colpa, passata e futura.

A tratti cadono, come svenute, alte torri di cemento e tufo che reggono palazzi ormai fantasmi. Sono giganti che si accasciano su nugoli di persone, schiacciandole, creando altro dolore e sofferenza. Esplodono allimprovviso dei tubi del gas divorando tra le fiamme senza riguardo chi è scampato ai calcinacci.
Bruciano Via Cavour, Via Cardines, Corso dei Mille...

Il Cavalier Persichini è ancora in piedi, paralizzato, sente una lacrima inumidire la guancia incrostata di cenere. Non ha mai pianto da quando è diventato adulto. È lì in piedi e non sa che fare. Inizia a piovere, quasi che il cielo volesse partecipare al suo pianto. Poi, un abbraccio improvviso lo stringe alle spalle. Due mani piccole si intrecciano sul suo panciotto e lo colgono di sorpresa. Un miracolo! «Padre, sono io!» Il Cavaliere liberatosi da quellabbraccio si volta e vede due occhi grandi pieni di pena, un visino rigato di pianto, come il suo. Mio padre riesce solo a sussurrare: «Bernardo!» Quei due corpi che non si sono sfiorati mai fino ad allora per questioni di etichetta, in uno slancio si stringono forte, tanto forte, quasi a volersi fondere, fino a sciogliere i cuori. Tremano insieme per i singulti del pianto. Bernardo, il mio fratello maggiore, e mio padre si aggrappano uno allaltro. Sono rimasti soli al mondo.

Due metri sotto ci sono io.

«Madonnuzza bella! Fammi la grazia! Madonnina, aiutami, aiuta la mia mamma, Bernardo, Santino che è tanto piccolo, aiuta mio padre! Madonnina adorata mia, fai che vengano a trovarmi. Io non so dove sono, non so più nulla». Ho urlato tanto, e nessuno ha sentito. Il corpo ha cominciato a scuotersi percosso da brividi forti. È il freddo del panico. Le mani mi si contorcono, le dita deformi mi fanno male. Le gambe si sono annullate, la schiena è trapassata da fitte. Ho tanta fame e tanta sete.

Quando vado in giro per la città a fare compere capita di vedere delle persone povere. Ci sono anche dei bambini che chiedono lelemosina. La mamma mi ha sempre detto che sono dei poverini e patiscono la fame, quindi bisogna aiutarli! Allora manda Bernardo e me a dare loro un soldino. Non ho mai saputo cosa si provasse ad avere fame o sete. Ora lo so, sono delle fitte qui nella pancia, viene il mal di testa. Lincavo di mondo in cui sono finita mi gira attorno a volte, e così dormo o svengo e mi risveglio. Nella mia testa faccio di tutto per intrattenermi: canto, re- cito le poesie, le preghiere, urlo, mi arrabbio, e penso, anche alla mia mamma che sicuramente è tanto in pena per me. Povera mamma, forse mi sgriderà perché sono sparita. Non so più da quanto tempo sono qui. Non so se è giorno o notte.
Mentre penso mi viene in mente di una volta che il mio precettore mi ha letto un passo di un libro sulla natura. Imparavamo lorigine delle parole. «Srgalah, sapete che significa, signorina?» «Nossignore!»
«
Viene dal sanscrito, significa sciacallo»

Nascosti dal buio, licantropi famelici si distribuiscono sulle macerie ognuno a scavare la sua buca per trovare i resti di chi ha perso tutto, pure la vita, in quei pochi secondi di terremoto. Gli sciacalli di Messina sono senza scrupoli, incarogniti dalla fame e legittimati dalla devastazione. Soprattutto non hanno tempo! A mani nude e con grandi sacchi legati in vita, vanno per le strade martoriate a cercare oro, gioielli, stoviglie di pregio, mobili sani o da sistemare, soldi... ogni cosa possa convertirsi in cibo e benessere. Sanno già dove cercare: nella zona dei palazzi nobiliari. A volte litigano per spartirsi il territorio, qualcuno per questo è morto accoltellato. Altri sparati dai soccorritori stranieri o dalle guardie.
UFungia, è stato chiamato così per via del broncio. Ha unespressione, sempre la stessa, che lo fa sembrare arrabbiato. È uno dei più veloci e silenziosi. Nessuno osa dirgli niente perché è anche il più vecchio ed esperto in razzie. Sa sempre tutto prima, nemmeno fosse proprio lui a dirigere gli eventi nefasti. Lo anticipa un timore reverenziale. Gli altri sciacalli lo seguono anche perché quel naso da segugio non tradisce mai. UFungia trova tutto, come un rabdomante lacqua. Le sue mani nodose scava- no e trovano, scavano ed espropriano. La terza notte dopo il terremoto è capitato qui sopra, a due metri da me. Ha scavato, spostato, affondato le sapienti dita nella pancia della mia casa distrutta e mi ha svegliata. Il raspare mi ha destato. Quel rumore fastidioso nel silenzio ha raggiunto anche me, seppur impercettibilmente. Perché questo suono e non tutti gli altri? Non lo so dire. Allora, ho chiamato a raccolta da ogni an- fratto del mio corpo le poche energie rimaste per produrre un urlo, probabilmente lultimo possibile. UFungia, si è bloccato, le orecchie tese, i nervi allerta. Non ha mai avuto bisogno di sentire più di una volta, lui ha i sensi sempre vigili. Ci pensa. Non è sua abitudine avere pena per qualcuno. Se dovesse resuscitare quellessere sepolto metterebbe i suoi affari a rischio. Mica si può scavare e alle autorità dire: «Attruvai chistu cristianu... mi truvavu ca accidintarmenti!» Il fatto però è che gli è sembrato proprio che quello fosse vociare di bambino. Una cosa si può dire di Egidio, così si chiama in verità, non vuole bene a nessuno ma di fronte ai bambini, criaturi ‘nnucenti, il cuore gli si scioglie. Anche perché è parecchio superstizioso e far morire un bambino è grave, un peccato capitale. Allora sospira e va a nascondere il sacco mezzo pieno dei suoi nuovi averi in un posto di sua sola conoscenza. Non può nemmeno interrompere tutti gli altri sciacalli nella loro frenetica attività, gli direbbero di non allertare nessuno, lo potrebbero addirittura minacciare. Decide che farà da solo. Torna di corsa e, senza lasciar passare nemmeno un altro secondo, comincia a scavare stando bene attento di non schiacciare lorigine di quellunico suono che ha sentito.

«Lu sacciu ju cùosa a fari. Uora ti sarvu!» La voce bisbiglia decisa la frase indirizzata alla terra che sta spostando. È imperiosa, suona quasi come una minaccia.
Gli ci sono volute diverse ore per portarsi vicino a me. Sento i rumori arrivare da sopra sempre più nitidi. Egidio sposta, scava, bestemmia, trova incastrate le cose cadute, e bestemmia ancora, suda. Mi prende una grande emozione. Quando raggiunge la porta della mia camera, la porta che mi ha salvata cadendo sulla spalliera del mio lettino di ferro battuto, Egidio appoggia lorecchio al legno intarsiato. Il timpano sopraffino percepisce un flebile respiro. Sospira UFungia. Scava ancora tuttintorno fino a disincastrare la porta, quando la solleva i miei polmoni si spalancano, sento un gran dolore e svengo ancora. «Madonnuzza, una picciridda jè!» Sussurra sudato Egidio. Mi solleva, mi porta davanti a una delle tende di fortuna allestite per i superstiti, mi lascia lì, stesa a terra. E per farmi riconoscere mette sul mio petto una foto, lunica della mia famiglia ancora unita, lunica che mi rimarrà di mia madre e di mio fratello Santino. Egidio lha strappata alla terra che mi schiacciava. Mi ha lasciata lì al mio destino e poi si è dileguato nel buio.

Sono stata trovata, mi hanno accudita. Sono stata salvata e riconosciuta.
Una volta aperti gli occhi trovo solo mio padre e mio fratello Bernardo a guardarmi. Gli altri sono volati in cielo, mi dicono. «Anche la mamma?» Chiedo con il cuore impietrito. Bernardo piange.
«
Sì, angelo mio! Anche la mamma insieme a Santino!» Risponde mio padre con la voce rotta. Lo vedo sfocato. La terra si è presa mia madre e il fratellino che teneva stretto al suo seno gonfio di latte. Non riesco a credere che non ci siano più. Solo pochi giorni fa era vicino a me e mi dava il suo bacio della buonanotte. Sento ancora il suo odore, la sua voce, ho ancora davanti il suo sorriso dolce. Non riesco a credere che non ci sia più. Mai più! Mai più è un tempo troppo lungo per una bambina. La mia mamma è il mio mondo. La mia mamma è tutto. Ci penso spesso da quando sono stata salvata e mi assale una grande rabbia. Ho pensato che la Madonnina che ha scritto la lettera a Messina autoproclamandosene Santa Protettrice, sigillando quellimpegno con i suoi stessi capelli, ne riceverà una mia a breve.

Messina, 6 gennaio 1909

«Santissima Madre delle madri, Madonnina. Avete scritto, secoli or sono, una lettera destinata ai vostri devoti messinesi. Una lettera che professava la vostra intenzione a volerci proteggere perpetuamente. Voi Madonna, avete permesso che mia madre e mio fratello morissero insieme a molti altri sventurati in questo terribile terremoto. Voi avete mancato della vostra promessa, mi avete tolto una madre, non lavete protetta. Io da oggi non potrò più essere a voi devota, così come voi avete mancato di essere la mia protettrice. Con profondo disprezzo. Tindara Persichini». La mia lettera di protesta lho attaccata prima di partire a una delle poche statuette della Madonnina restate in piedi. Lho guardata bene negli occhi mentre gliela lasciavo.

Stiamo partendo da Messina lasciandoci dietro tutto il mondo che conosco. La barca su cui siamo saliti scivola sullacqua in mezzo ai detriti. Stiamo lasciando una Messina devastata, dove al posto degli sciacalli ora ci sono i sacerdoti dellArcivescovo DArrigo. Mi volto indietro e li vedo, stanno arrampicati sui cumuli di macerie, in cotta bianca e stivaloni, e vagano come insetti laboriosi intenti a benedire con laspersorio i morti rima- sti sotto. Insieme a loro ci sono le squadre di soccorso militari. Allimprovviso, quasi si fossero messi daccordo, si fermano tutti in piedi sulle rovine, il braccio alzato. I sacerdoti con il croce- fisso, i militari con le vanghe e le zappe al posto dei fucili. Tutti con le braccia alzate in segno solenne di coesione e unità, in mezzo a nuvole di polvere e uno strano silenzio. Li vedo in lontananza e per un attimo mi danno la strana sensazione di salutarci. Io invece Messina non la vorrò più vedere.
Mentre la mia città e le sue macerie restano alle nostre spalle mi ripeto che non dovrò più credere a nessuno.
Ancora non posso immaginare che la punizione per aver scritto quella lettera alla Madonnina sarà molto più severa del terremoto che abbiamo subìto. 

Gallery

Nuda dentro
Nuda dentro


Torna ai libri