Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo

Vincenzo Gambardella

Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo

Premiato con Targa XXXIV edizione del "Premio Città di Cava de’ Tirreni " anno 2017

Descrizione

E' la storia di una piccola compagnia di fuochisti campani, che ha inizio negli anni Settanta e si sviluppa fra gli anni Ottanta e Novanta, fino al Duemila e poco oltre. Vinicio Pierro, don Blandino (un prete fuochista!), il suo chierichetto, e poi Michele (un lombardo che si aggiungerà al gruppo), sparano fuochi artificiali per varie feste o altre occasioni.
Vinicio ha un sogno: sparare per un re, e don Blandino ha ideato uno spettacolo d'invenzione straordinaria, inedito nel suo genere. La vicenda si ambienta inizialmente in Campania, poi si sposta nel Nord, in Lombardia, e, dopo un breve periodo all'estero, in Germania, ritorna per concludersi al Sud, sulla Costa Amalfitana.
Incontri e storie si intrecciano significativamente, alternando il tono visionario al drammatico, il realistico al picaresco. Il linguaggio è molto denso e qua e là si screzia del dialetto napoletano. Così pure sono i personaggi, densi e animati, la cui fede non si sottrae mai al dato esistenziale, anzi, essi affrontano la vita travolgendola nell'impeto del fuoco d'artificio, una forza naturale che viene dalla terra e si trasfigura nel cielo, quasi come una lettera d'amore mandata a Dio e all'umanità.

L'autore

Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo

Vincenzo Gambardella è nato a Napoli nel 1955, e attualmente vive a Milano. Suoi racconti sono apparsi sulle riviste letterarie Nuovi Argomenti, il Racconto, clanDestino, Achab, Pangea, Formicaleone, oltre che su alcune antologie di narratori italiani. Ha pubblicato i seguenti libri:
“Seduto sulla tempesta” (romanzo), Marietti editore, 2006.
“Il cappotto istriano” (romanzo), Marietti editore, 2008.
“Vinicio sparafuoco detto Toccacielo” (romanzo), Ad Est dell’Equatore, 2014.
“Celestino sospeso” (romanzo per ragazzi), Piccola Casa Editrice, 2015.
“Splendore dei randagi” (romanzo), Ad Est dell’Equatore, 2016.
“Scricchiolii” (racconti), Iemme edizioni, 2017.
“Soffio placentare” (monologo teatrale), Edizioni Ensemble, 2017.
“Spicchi di Calderòn” (testo teatrale), Edizioni Ensemble, 2018.
“Come tutte le cose dell’universo” (romanzo), Ad Est dell’Equatore, 2018.
“Chain Art” (radiodramma), Edizioni Ensemble, 2018.
“Mi chiamo Ivan Muthiac e vengo di Sarajevo” (romanzo), Il Seme Bianco Editore, 2019.
“Lo zio strampalatore” (romanzo per ragazzi), Edizioni Ensemble, 2019.
“Las Meninas allo specchio” (saggio di storia dell’arte), Edizioni Ensemble, 2020.
“Preghiera scritta sul corpo” (testo teatrale), Edizioni Ensemble, 2021.

Leggi il primo capitolo

Uno.

Ve lo dico io chi era Vinicio Pierro, 'o sparafuoco, Toccacielo, quello che con un cartoccio, uno spago e della polvere nera, ti faceva una stella colorata, buona per comparire davanti a nu re o nu santo, e con la carta che gli era rimasta la firmava pure quella bomba, caricata a una o due manciate di polvere, e dentro ci metteva il nitro, il clorato, il potassio, per fare il bianco, il celeste e il viola.
Vi dico che era la mano di Dio quel cannolo, e pure nu piede, e nu pezzo di stomaco (col rispetto parlando), perché lo stomaco c'entra, ne risente di tutti quei botti, vibra come una cassa armonica, che più vibra e più s'è sposata alla natura, per quella cosa che si apre a pochi metri da terra, ai limiti della sicurezza... Miccia e spoletta breve, stoppino rinforzato, la miccia che s'infiamma e BANG!, fuori dal mortaio parte una granata insuperabile che forma una cascata di stelle, una cascata a cerchio, adeguata chessò... a nu matrimonio, nu battesimo, nu fidanzamento.
E invece la prima volta che videro Vinicio a Ferragosto, la prima volta che lo vide 'o paratore di Baia (chi lo vedeva vi dico che restava toccato, vi dico che restava colpito!) disse: "E questo sarebbe 'o fuochista?... e che li abbiamo preparati a fare i mortai tutti quanti in fila, fissati a terra con i chiodi, le gabbie, le catene?".
I mortai friggevano sulla spiaggia, e Toccacielo, con le mani ingrassate di pece greca e tutto 'nfuso di zolfo e di antimonio, lui stava sotto i ferri di Giovanni Pepe, il cavadenti più famoso di Napoli, più famoso di un qualunque dentista, tanto che anche nella foto che teneva nel portafoglio, lui pareva più autorevole del dentista a cui aveva fatto l'assistente sotto le armi. E sembrava più famoso lui del dentista vero, sembrava più lui un dentista di qualunque laureato. Ci aveva la faccia, il fisico! Così, con questa fama fu chiamato per una mola cariata. E Vinicio gridava il programma suo a bocca aperta, che voleva iniziare con una sbracatella, e poi seguire con un intreccio di botti e stutate e controbombe, e poi andare avanti col grosso calibro, un inferno da far cadere il cerume dalle orecchie, fino alla cacciata che chiude il poema pirotecnico con le variazioni più speciali.
Lui è nato in quel momento là, a Baia, fra la punta della Gaiola e Capo Miseno, dentro il golfo di Pozzuoli, che se lo guardi bene sulle carte geografiche assomiglia al profilo di un bambino che dorme, che sta ancora nella pancia della madre, incurante della bellezza e dell'impronta che ha lasciato nella terra. La testa rannicchiata contro il monte di Procida, la schiena vaporosa delle fumarole di Pozzuoli, i piedi afferrati allo scoglio di Nisida. Vinicio è nato nel sangue e nel fuoco, come tutti, ma quello che lo differenzia è che è nato grande e quindi già abbastanza stupito del mondo, di quanto è vasto e terribile il mondo, di quanto è strano, per cui prima viene il fuoco e poi il botto, prima sei colpito e poi ti senti colpire.
Toccacielo pensa al dente che se ne sta andando, e dice senza muovere le labbra: ecco, se ne va. Gli sale un dolore dalla radice che trottola persino fuori della colonna vertebrale, come un fuoco a girello o a piruetta, vi dico che lui ha provato l'intera misura di uno sparo in quel momento, di un cartone infiammato che spostando l'aria getta vampate da tutti i lati. Toccacielo, con questa impressione in corpo, guarda la mola stretta nelle tenaglie di Giovanni Pepe, e gli passa davanti agli occhi un ritmo binario di granatine e pallette colorate, insieme a una grata di bengala che spande scintille in continuazione.
Giovanni Pepe ride, 'o paratore (che porta il nome potente di Coriolano) discute snervato, gli organizzatori del comitato-festa reclamano. Coriolano pretende di vedere la licenza, dice che vuole vedere subito la licenza di Vinicio, che se ce l'ha gliela vuole far levare, e se non ce l'ha peggio per lui. Allora, mentre succede questo, mentre succede tutto questo, succede che dalla riva di Bacoli va in orbita nu sputnik, nu missile, nu razzo, che doveva avere 'na carica di lancio piena di canfora per quanto era lucente di raggi ultravioletti. Va in alto a sorpresa, a più di cinquanta metri, e illumina a giorno il lido con lo specchio del mare incorniciato dal molo di Coroglio fino ai lampi lontani di Ischia e di Procida. Non si era mai vista 'na bellezza del genere, che fa mezzogiorno in piena notte, che accende il litorale notturno, compreso il belvedere dei Camaldoli e gli Astroni e l'Averno e i Campi Flegrei.
"E mò questo chi è?" dice Coriolano, il tempo di dirlo in cinque parole, e si alza 'na batteria fiammante di bombe giapponesi, sbruffi, candelotti, soffioni, nu fuoco d'apertura da fare invidia ai caroselli dei Perfetto, e dei Di Matteo. Vi dico che era 'na cadenza continua, nu riverbero continuo di granate, botti, botti a scala, botti a ripresa, fanove, globi, mortaretti, ruote, fiammoni. Si scriveva 'na pagina di pirotecnia nel cielo che subito si cancellava, si scancellava dagli occhi della gente che voleva almeno sapere chi era quell'artista, quel maestro del fuoco, se era vero o se era immaginario.
Toccacielo, appena si muove, tutti pensano che lui è come il suo dente, cioè 'na mola cariata, che è 'na mola cariata per le tenaglie di un arcidentista o di un cavadenti. Ma in mezzo a quella cadenza continua, e mentre 'o paratore aveva già messo mano al verbale di protesta, Vinicio scende in un fosso, vi dico che scende in un fosso come nu muorto, come uno che ha deciso di morire, e da là sotto sembra che prega, e invece ci ha nella testa la ricetta sua, che ha imparato sperimentando le miscele più strane, e calcolando i fiotti delle detonazioni, e le aperture in cielo. E sta nel fosso perché i suoi segreti non li vuole far sapere, e ci sta bene lì, vi dico che ci sta 'na meraviglia, lui e le sue guarnizioni, le sue corde, i suoi materiali, lui e le sue segature, i cartocci, le spolette, i coloranti, il nerofumo, il mercurio, il rame, la gomma arabica... Si sente nu scienziato là sotto, con la dignità 'e nu scienziato, che non ripete mai quello che hanno fatto gli altri, e si è piegato sul banco a togliersi certi sfizi pe' 'na creazione che brucia nu minuto, che sta in cielo nu minuto, e l'importante è che qualcuno se lo ricorda, basta che qualcuno lo tiene a mente, che lo racconta in giro di come Toccacielo uscì da quel fosso dicendo: "Ci ho messo 'na raschiatura d'avorio dentro il bianco del salnitro, per farlo più bianco, più puro 'e nu santo... Non sia mai che san Vito perde contro sant'Anna e san Gioacchino". E quando esplode il cartone è nu fuoco incandescente, nu fuoco benedetto, che resta in cielo cinque o sei minuti, 'n'eternità!, il tempo di far partire a sorpresa la banda che intona lo Stiffelio di Verdi, e poi innescare un paio di bizzarri e nu peperone fischiante, e subito appresso pacche, calcasse, botticini, tronetti... Si vede Vinicio a testa bassa, contro le fiammate, piegato sui mortai, contro l'azzurro e il giallo dei fuochi, 'na guerra mondiale, ma senza l'esercito, e solo per far vincere nu santo.
Io Toccacielo lo seguo dietro agli sfiati delle detonazioni, in mezzo alle scintille che si spengono addosso, e dove lui accende una in fila all'altra le micce io lo rincorro. E' 'na festa prepotente di razzi, di fontane, di bombe composte, nu gioco pirotecnico che ti esplode tutt'assieme e ti rintrona, ti abbaglia. BAM BA-BAM BAM BAM... BAM BA-BAM... Vi dico che uno deve essere nu maestro, ci vuole la perizia, la forza... la forza di vedere fino in fondo 'na cosa... se tu ci guardi fino in fondo al fuoco tu ci vedi 'na cosa, se tu lo guardi bene il fuoco, fino a farti mancare gli occhi, a farli diventare dello stesso fosforo che ti abbaglia, dello stesso titanio che ti folgora, allora tu arrivi a vederci 'na cosa... 'na ruota offuscata, 'na bestia, nu fiore, quello che è. E lui, Vinicio Pierro, quello che ha visto lo ha voluto realizzare davvero. In quattro e quattr'otto prende 'na gomma colorata e ti gonfia nu pallone che sale nel cielo, nu pallone aerostatico che salendo spara tricchi-tracchi e botti della Candelora. 'Na vera potenza, nu teatro! A terra si succedono lampi muti e bengala, girandole e serpentelli, e poi frapponi, colpicini, e colpi scuri per contorno. Vinicio spende tutta la tecnica che ha con una tempesta di girasoli che si aprono all'impazzata, girasoli grandi stoppinati a doppia legatura. E' una tale luce incandescente che ti fa venire le lacrime, l'effetto ti rimane... BAM BA-BAM BAM BAM... e alla fine non lo credi! 'o pallone sta ancora là... 'a mongolfiera, dico, e luccica nell'occhio della luna, nell'occhio sorgente della luna. Di certo lo vedono da Bacoli che si fa piccolo piccolo nel silenzio, lo vedono i bacolesi e i baiani, con il naso appuntato sul cielo, i bacolesi di sant'Anna e san Gioacchino e i baiani di san Vito. 'O pallone si scarrozza la fantasia del mondo per il firmamento.
Che immedesimazione!, vi dico che Vinicio voleva salire su quell'aerostato e guardare la terra che s'infiamma e diventa rotonda, diventa nu tizzone acceso, che sta sempre acceso ma non brucia mai. Toccacielo da là sopra si sarebbe fatta la migliore pubblicità del mondo a forza di striscioni e volantini: Vinicio Pierro - Prezzi di fabbrica - Fuochi artificiali per ricorrenze, matrimoni e inaugurazioni - Sopralluoghi e preventivi gratuiti... Ma intanto che sognava e si svagava, intanto che pensava, guardava dentro alla cassa del triciclo e vedeva che era rimasta mezza vuota, solo stracci e bacchette e spago per arringare i botti, e carta da imballaggio. Così aspettava disarmato la risposta di quello sparafuoco di Bacoli, la aspettava sorridente e arreso, gli stoppini e le micce imbrigliati fra le dita, la faccia deformata dall'estrazione della mola, le mani impegnate a rinforzare, a spagare, ad assestare meglio un mortaio nella sabbia, a far tramutare il giallo in giallo oro con la gommalacca...

Così era fatto Toccacielo, fremeva, ma la luna restava ferma nel buio e solo le stelle scintillavano.
"Vi volete fa' 'na foto?" disse 'o paratore.
"A me?" disse Toccacielo.
"E a chi?".
"Ma si vede l'orecchio?".
Toccacielo teneva un orecchio tagliato che nu candelotto di 20 centimetri s'era portato via di colpo... PATAPAN!, gli era rimasto sano mezzo padiglione, il buco dell'orecchio e il lobo.
"Ma ci sentite?" diceva 'o paratore.
"Dite a me?".
Toccacielo rimaneva voltato a mano a mano che 'o paratore gli girava intorno per cercare d'inquadrarlo. Al momento di scattare la foto, però, lui s'abbassava, o si riparava la mano nei capelli, o se ne andava da un'altra parte.
"Cip cip, guardate l'uccellino" lo scherzava Coriolano.
"E finitela... che tengo questa faccia!".
Toccacielo si riferiva al gonfiore della sua faccia; la faccia sua s'era gonfiata, ma non era per il gonfiore che Vinicio Pierro si rifiutava, era per l'orecchio, non gli poteva passare la storia di quando lo aveva perso e del candelotto di 20 centimetri... PATAPAN aveva fatto quello e non BANG o TRACK o TARATTA', no, lo doveva capire che là ci stava qualcosa, che stava succedendo qualcosa. E dopo l'orecchio gli ronzava come se ci fosse stato nu moscone dentro... nu moscone, nu fischio, e 'na corda 'e contrabbasso. Tutto 'sto pandemonio gli stonava la testa. Eppure vi dico che lui ce l'aveva presente quel pezzo, quello strumento di 20 centimetri che gli aveva portato via mezzo orecchio come nu muorzo.
Perciò, al primo incontro con Juliana (una ragazza di Castellammare che aveva conosciuto), Toccacielo si presentò che teneva la mano poggiata sull'orecchio. Si presentò con quell'orecchio sconciato e nu concerto nelle orecchie che non finiva più. "E che tieni là? - disse lei -, ti vergogni di me?". Glielo volle proprio dire, e lui la fece parlare, la fece parlare e parlare, tanto non sentiva niente, vi dico che non sentiva niente, vedeva solo le labbra di lei che si muovevano e l'espressione sua che si faceva allegra, e il momento dopo si faceva sospettosa. "Ti vergogni di me?" continuava a dire per via della mano poggiata sull'orecchio, ma lui sentiva solo le parole gravi, o quelle gridate che gli venivano da lontano, o i tonfi, o le campane, mentre quelle sospirate di lei gli arrivavano solo nel vibrato, in una ventata leggera che gli faceva pensare che le parole erano come i fuochi, che quando esplodono li sentono pure i sordi. Allora lei si mise a ridere, e lui sentì quella risata sulla faccia che gli rinfrescava le guance, gli rinfrescava il fuoco che ci aveva... altro che 'na bavosa o nu colpo moscio!, Vinicio si scrollò la testa per stapparsi le orecchie. La risata gli andò dritto al cuore, che si sarebbe gettato dentro a nu mortaio per farlo esplodere, vi dico che si sarebbe gettato dentro a nu mortaio. Il cuore suo l'avrebbe dato! E il colpo fece BANG stavolta, e Toccacielo attaccò una corsa, attaccò una tale corsa che a Juliana le rimasero impressi lui, i fuochi e quel suo orecchio sconciato che gli faceva vergogna. Insomma non se lo scordò più quel giovane che correva per l'emozione e glielo volle proprio gridare un altro appuntamento, che se voleva lei lo aspettava una settimana dopo sulla via del porto, dietro ai cantieri navali.

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